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Omicidio Khashoggi. Dopo un processo farsa, l’Arabia saudita condanna 5 persone a morte.

di Redazione -


La procura saudita ha condannato a morte cinque persone per l’omicidio di Jamal Kashoggi, il giornalista saudita trovato morto lo scorso 2 ottobre 2018 all’interno del consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul. Altri tre imputati sono stati condannati a pene detentive per l’omicidio. Saoud al Qahtani, ex consigliere del principe ereditario Mohammed ben Salman, non è stato processato e il generale Ahmed al Assiri, ex numero due dei servizi di intelligence, è stato assolto per insufficienza di prove. Con la sentenza sul caso Khashoggi “la giustizia è stata calpestata” ha dichiarato l’associazione Reporters sans Frontiéres commentando la condanna a morte di cinque persone per l’omicidio del giornalista saudita. Il processo, che si è svolto a porte chiuse, non ha rispettato i principi di giustizia riconosciuti dalla comunità internazionale, ha sottolineato Rsf. Il segretario generale, Christophe Deloire, ha scritto su Twitter che la condanna delle cinque persone “è un modo per farle tacere e nascondere la verità per sempre”.

L’Onu: “una presa in giro”. Una “presa in giro”: così la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, Agnes Callamard, ha bollato il processo in Arabia Saudita dopo l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi. “I sicari, colpevoli, condannati a morte. Le menti (del brutale omicidio) non solo camminano libere. Sono state a malapena toccate dalle indagini e dal processo. Questa è l’antitesi della giustizia. E’ una beffa”, ha twittato Callamard, che ha condotto un’inchiesta sulla morte dell’editorialista saudita del Washington Post assassinato il 2 ottobre dello scorso anno nel consolato di Riad a Istanbul. “L’impunità per l’uccisione di un giornalista indica solitamente repressione politica, corruzione, abuso di potere, propaganda e persino complicità internazionale. Tutti fattori presenti in Arabia Saudita”, aggiunge Callamard, convinta che avrebbe dovuto essere aperta un’inchiesta “sulla catena di comando per individuare i mandanti” dell’omicidio, “così come coloro che hanno fomentato, consentito o chiuso un occhio” su quanto avvenuto, “come il principe ereditario” saudita Mohammed bin Salman. Già nel giugno 2019 Agnes Callamard, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie e arbitrarie, aveva concluso che Khashoggi era stato vittima di ‘un’esecuzione extragiudiziale della quale, secondo il diritto internazionale, lo stato dell’Arabia Saudita porta la responsabilità’.

Amnesty International: “insabbiamento”. “Questo verdetto costituisce un insabbiamento e non rappresenta alcuna forma di giustizia, né per Jamal Khashoggi né per i suoi cari. Il processo si è svolto a porte chiuse, senza osservatori indipendenti e senza che trapelasse alcuna informazione sullo svolgimento delle indagini e sulle procedure seguite”, ha dichiarato in una nota ufficiale Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente di Amnesty International.  “La sentenza non fa luce sul coinvolgimento delle autorità saudite in quel crimine devastante né chiarisce dove si trovino i resti di Jamal Khashoggi”, ha aggiunto Maalouf. “I tribunali sauditi sono soliti negare il diritto alla difesa ed emettere condanne a morte al termine di processi gravemente irregolari. Data la mancanza di trasparenza delle autorità saudite e l’assenza di un sistema giudiziario indipendente, solo un’indagine internazionale, indipendente e imparziale potrà dare giustizia per Jamal Khashoggi”, ha concluso Maalouf.

Domenico Condello


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