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ORA O MAI SUD

di Giovanni Vasso -


Per il Sud, il Pnrr rappresenta l’ultima chiamata. Ma le pubbliche amministrazioni boccheggiano: tra tagli al personale e dipendenti poco qualificati e anziani, la grande opportunità per il Mezzogiorno, che ormai viaggia verso uno spopolamento inarrestabile, si potrebbe trasformare nell’ennesimo, beffardo, buco nell’acqua.
L’Istat ha pubblicato un focus in cui, proprio in funzione degli obiettivi posti dal piano nazionale di ripresa e resilienza, fotografa la situazione disperata dell’area meridionale. Il lavoro non c’è, il pil pro capite medio, al Sud, è inferiore di oltre la metà di quello degli italiani che vivono al centro e al Nord. Se la media nazionale è di 33mila euro, al Mezzogiorno non supera i 18mila euro. Quando va bene. I giovani, specialmente i più scolarizzati (e sono molti di meno rispetto ai loro coetanei al Nord), prendono, come i loro nonni, la valigia, combattono (per l’ultima volta) con una rete di trasporti a dir poco arretrata e insufficiente, e vanno a vivere e lavorare altrove. Ormai la situazione è insostenibile. Secondo gli analisti dell’Istat, il 42% dei giovani tra i 25 e i 34 anni ha lasciato la sua terra d’origine. Di questi, 49 sono “saliti” al Nord e 56 hanno addirittura abbandonato l’Italia. Per loro non ci sono opportunità nemmeno attraverso l’economia digitale dal momento che il 60% dei cittadini meridionali non ha accesso alla banda larga se non in misura molto più ridotta rispetto alle altre zone del Paese. Le proiezioni per il Mezzogiorno non raccontano nulla di buono: entro il 2030, per la prima volta, i residenti scenderanno sotto la soglia dei venti milioni. Entro il 2035, inoltre, il Sud potrebbe essere l’area più “anziana” dell’intero Paese.
Con queste premesse, l’Istat non può fare a meno di sottolineare che il futuro del Mezzogiorno, destinato a diventare un deserto produttivo popolato da anziani, può cambiare solo grazie all’attuazione del Pnrr e al raggiungimento dei dieci obiettivi minimi che il piano stesso si è posto. Se il Pnrr fallisce, il Sud continuerà a inaridirsi ancora di più e, presto o tardi, il conto lo pagherà l’intero Paese. E il rischio che il piano possa trasformarsi nell’ennesima beffa per il Sud (e per l’Italia) è dietro l’angolo.

Uno studio di Fondazione con il Sud, commissionato a Gianfranco Viesti, ordinario di economia applicata all’Università di Bari, ha riferito che gli enti locali sono allo spasimo e che, con ogni probabilità, non reggeranno lo sforzo, epocale, di “rifare” l’unità d’Italia. Soprattutto perché i Comuni più sguarniti sono proprio quelli del Mezzogiorno. La pianta organica dei Comuni è esangue, composta da personale anziano, spesso poco formato e senza le competenze decisive per intercettare i fondi. La situazione è a dir poco disperata, per esempio, a Napoli dove, nel corso del tempo, il Comune ha perso il 50% del suo personale e dove la pianta organica, rispetto alla popolazione, è pari alla metà di quella disponibile, per esempio, a Firenze e Bologna. I problemi investirebbero in maniera grave la Campania (con gravi vulnus a Giugliano, Torre del Greco, Castellammare di Stabia, Napoli, Caserta, Casoria), Calabria (Catanzaro, Lamezia, Reggio Calabria, Cosenza), Sicilia (Catania, Gela, Messina, Trapani, Caltanissetta), Puglia (Foggia, Andria, Taranto, Barletta, Brindisi) e a Matera, in Basilicata. “Questi sono comuni certamente in grandissima difficoltà – si legge nello studio -, perché le amministrazioni presentano forti carenze in quantità e in qualità nel personale disponibile, o perché il personale si è contratto in misura assai significativa”. Insomma, alla faccia degli stereotipi, al Sud mancano proprio i “posti fissi”.

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