Cultura & Spettacolo

Pasquale Guadagno: “Il doppio dolore degli orfani invisibili”

Questo articolo fa parte della campagna "Unite. Azione letteraria".

di Lorella Di Biase -


di LORELLA DI BIASE
“Orfani invisibili”, così vengono chiamati. Due parole che contengono un doppio dolore.
Alla condizione di orfani si aggiunge, infatti, una seconda offesa: quella di non avere corpo. Di non esistere.
Sono gli orfani di femminicidi, figli privati della madre, per mano del loro padre. Quindi, orfani di entrambi i genitori, perché come si può continuare a chiamare padre chi ti ha strappato via la mamma? Quanti sono? Una stima ufficiale non esiste. E qui si arriva al secondo oltraggio subito: l’invisibilità.
Come denuncia Pasquale Guadagno, nel suo libro “Ovunque tu sia”, Europa Edizioni: “Io e mia sorella per lo Stato non esistiamo”.
Pasquale, oggi 27enne, aveva 14 anni quando suo padre uccise sua madre. Insieme a sua sorella, Annamaria, poco più grande di lui, si è trovato scaraventato nel più grande e indicibile dei dolori.
E solo a distanza di anni ha trovato le parole per raccontare la paura e la sofferenza con le quali ancora fa i conti.
“Ho fatto bene. Lo rifarei”. Sono le parole di tuo padre dopo l’omicidio di tua madre. Frasi con le quali hai dovuto convivere in questi anni
Mio padre non si è mai pentito. È arrivato persino a minacciare me e mia sorella. Lo abbiamo denunciato, ma non è accaduto nulla. Il 24 febbraio uscirà, avendo scontato solo 13 anni, dai 20 iniziali, poi ridotti a 18. Io temo quel momento. In carcere non ha compiuto alcun percorso rieducativo. Ma io chiedo allo Stato: chi si assume la responsabilità di rimettere in libertà quest’uomo? Un uomo che, ancora oggi, ai giornalisti che lo hanno intervistato in carcere ha rivendicato la proprietà del corpo di mia madre, dicendo: “lei è mia e una volta fuori la prenderò e la porterò con me”
Ti definisci “Invisibile” agli occhi dello Stato. La legge sulla tutela agli orfani di femminicidio si è avuta solo nel 2018. Ma quanto c’è ancora da fare in questo campo?
Molto. La legge prevede aiuti fino a 25 anni, se non sei autonomo. Nel 2018 io avevo 22 anni e non ho ricevuto nulla, perché lavoravo. Ma io ho dovuto iniziare una psicoterapia costosa e impegnativa che mi ha costretto ad abbandonare il lavoro. Non si considera che questi traumi, come nel mio caso, possono venir fuori in qualunque momento della vita
Nel libro scrivi: “Sento che la responsabilità di offrire aiuto a un uomo così visceralmente malato, tocchi a me”. Un compito impegnativo. Ti senti pronto?
Penso sia l’unico modo per salvare me e mia sorella. Rimettere in libertà un uomo del quale nessuno si è occupato mentre era in carcere, è inutile e pericoloso. Qualcuno deve fargli capire i suoi errori e quel qualcuno sarò io. È fondamentale parlare con uomini che, come lui, hanno bisogno di aiuto. Fargli comprendere che il problema sono loro, non le donne che li hanno lasciati. Questo è l’obiettivo che mi sono posto per il futuro.

Questo articolo fa parte della campagna “Unite. Azione letteraria”, a cui hanno aderito scrittrici e giornaliste italiane per denunciare la violenza di genere e nominarla.

Il 4 marzo, al Teatro Manzoni, a Roma, verranno letti tutti i contributi pubblicati.


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