Pace fiscale, cosa c’è dietro la proposta di Salvini
Non si è fatto in tempo a far uscire dalla Camera il ddl della legge delega e iniziare i lavori al Senato che il vicepremier e Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, ha rilanciato la proposta di una pace fiscale. Nelle prime dichiarazioni il leader del carroccio fa riferimento ad una sorta di “saldo e stralcio” per i debiti fino a 30mila. In pratica, con un pagamento di una somma a saldo, in percentuale rispetto al debito complessivo, la posizione debitoria viene stralciata definitivamente.
Siamo ancora alle dichiarazioni, quindi, non conosciamo alcun dettaglio di quali saranno i requisiti e le condizioni per accedere, semmai si farà, questa ennesima pace fiscale. Ci è dato comprendere che non si tratterà di un condono fiscale e questo vuol dire che i c.d. evasori totali – che non hanno presentato la dichiarazione dei redditi al fisco – non avranno pace e continueranno ad essere il bersaglio della lotta all’evasione. Negli ultimi anni, diverse misure, in forma diversa, hanno consentito ai contribuenti di regolarizzare la propria posizione debitoria nei confronti del fisco. Pensate che il primo condono fiscale della storia risale al 1861, ad appena quattro mesi dopo l’Unità d’Italia e da allora ne abbiamo avuti uno ogni due anni. La verità è che spesso vengono definiti in modo meno diretto; “strappacartelle”, scudo fiscale”, “definizione agevolata”, “rottamazione”, “sanatoria”, ma il concetto è sempre lo stesso: chi non ha pagato viene in qualche modo salvato dal Fisco che preferisce rinunciare all’attività di accertamento e riscossione in cambio di ricevere “poco, maledetti e subito”. In un sistema che prevede il finanziamento della spesa pubblica tramite il versamento delle imposte, quello che conta è il gettito effettivo delle imposte stesse e non quanto viene determinato nel bilancio di previsione dello Stato sul quale, appunto, si impegnano le uscite per la spesa pubblica. Le grandi imposte degli anni ’70, cioè l’imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) e l’IVA, sono state oggetto di numerosi interventi che le hanno rese, in particolare l’IRPEF, molto complesse dal punto di vista tecnico e sono sempre soggette al rischio d’elusione, dell’evasione e della mancata riscossione. In Italia si registra un forte divario tra quanto lo Stato dovrebbe incassare e quanto davvero incassa. E in questa direzione, il progetto di delega si sta muovendo bene focalizzandosi in maniera maggiore sul sistema della riscossione prevedendo, e cito l’articolo 16 del ddl del provvedimento approvato alla Camera e in corso di lavori al Senato, “che lo stesso debba essere semplificato, orientandone l’attività ai principi di efficacia, economicità e imparzialità e verso obiettivi di risultato piuttosto che di esecuzione del processo”.
La legge delega, in tema di riscossione, prevede l’eliminazione della cartella esattoriale sostituendola da un unico provvedimento con efficacia esecutiva emesso dall’Agenzia delle entrate e un sistema che rende più tempestive le informazioni sul saldo e i movimenti dei conti correnti dei contribuenti stessi, così da facilitarne l’eventuale pignoramento.
Ora sul perché il Governo, di cui Salvini e Vicepremier, prova a rafforzare i propri poteri di riscossione con la legge delega, tra l’altro velocizzandone l’approvazione, e contemporaneamente dichiara la proposta di una pace fiscale, sinceramente non saprei rispondere.
Ma se è vero che la pace fiscale dichiarata da Salvini è ispirata dal buonsenso di aiutare milioni di italiani che hanno dichiarato i propri redditi ma che non sono riusciti a pagare le tasse e che non ce l’hanno fatta a tornare a lavorare, potrebbe davvero costituire la soluzione per il Fisco di incassare soldi che altrimenti non avrebbe mai e a vantaggio di tutti. Salvini ha provato ha spiegarlo bene quello che intende quando parla di pace fiscale, ossia di non rivolgersi agli evasori totali che – consapevolmente – scelgono di non dichiarare nulla al Fisco ma di interessarci di chi ha un problema fino a 30mila euro che si trascina da anni. A ciò vorrei aggiungere che nei fatti esistono milioni di contribuenti che, anche per errori contabili dell’Agenzia delle entrate, perdono tanto tempo per verifiche fiscali a volte ridicole e maturano un senso di profonda sfiducia nei confronti del Fisco.
E allora una pace fiscale potrebbe essere quello che ci vuole per azzerare errori e ingiustizie, senza però che ciò venga inteso come l’ennesimo regalo a chi le imposte non le paga e in sfregio a chi, invece, è sempre puntuale, ma come l’inizio per varare una vera riforma del sistema fiscale a misura di cittadino.
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