Editoriale

Pace in Ucraina, la missione del Papa

di Adolfo Spezzaferro -


Il Vaticano lavora incessantemente sul fronte diplomatico per far sedere il presidente russo Vladimir Putin al tavolo dei negoziati e porre fine alla guerra con l’Ucraina. Come è noto, papa Francesco ha incaricato da tempo il cardinale Matteo Zuppi di lavorare sul fronte dei negoziati e lo stesso Pontefice di recente ha lanciato un appello per uno scambio generale di tutti i prigionieri. Secondo fonti però la Santa Sede sta facendo proprio pressioni su Mosca per far cessare il conflitto nel Donbass. La vera novità però è nel cambio di postura della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, che ha dichiarato: “Se Putin fermasse i bombardamenti ci potrebbero essere negoziati di pace il giorno dopo”. Complice la campagna elettorale all’insegna della pace – la sua per la rielezione alla guida del governo Ue, quella dei Paesi membri per le europee di giugno – la von der Leyen “apre” alla Russia dopo un muro contro muro che non ha mostrato crepe negli ultimi mesi. La presidente della Commissione Ue ha poi precisato che “il processo di pace deve essere guidato dagli ucraini. È loro diritto farlo”. Ma i toni e soprattutto i contenuti sono cambiati rispetto a quando la Ue asseriva che la guerra andava risolta sul campo di battaglia, con la vittoria dell’Ucraina. Ma c’è un altro elemento che modifica ulteriormente il quadro in cui si muovono Ue e Vaticano: vista l’offensiva che ora più che mai procede inarrestabile, i russi, sul tavolo delle possibili trattative, oltre alla Crimea, al Donbass e alla neutralità dell’Ucraina rispetto alla Nato, quasi sicuramente formuleranno una richiesta aggiuntiva. Ottenere il controllo della “striscia” di Mariupol, ossia quella lingua di territorio che collega proprio il Donbass (russofono e che vuole essere annesso alla Federazione) con la Crimea, che di fatto è già tornata ad essere territorio russo. Una richiesta di cui si dovrà tenere conto. Intanto Bergoglio proprio domenica ha detto che rinnova il suo appello “per uno scambio generale di tutti i prigionieri tra Russia e Ucraina, assicurando la disponibilità della Santa Sede a favorire ogni sforzo a tale riguardo, soprattutto per quelli gravemente feriti e malati”. Parole che arrivano a fronte di un intenso e intensificato lavoro diplomatico del Vaticano, che si sta spendendo perché sia raggiunto un risultato che lasci intravedere la possibilità concreta di negoziati. Come appunto la liberazione dei prigionieri da ambedue le parti: un segnale di de-escalation che in questa fase sarebbe salvifico soprattutto per Kiev. Il momento è cruciale, è una corsa contro il tempo. Da un lato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky freme per l’arrivo dei nuovi armamenti Nato, dall’altro l’offensiva russa si è intensificata fortemente negli ultimi giorni proprio per colpire le forze ucraine prima che possano riarmarsi adeguatamente. In tutto questo gli Stati Uniti puntano a rimandare la questione di un nuovo ulteriore invio di armi e munizioni a Kiev alla prossima presidenza, dopo le elezioni di novembre. Un tempo enormemente lungo per Zelensky e per l’Ue, che non può non prendere posizione nel frattempo. Ciò spiegherebbe in parte la rimodulazione dell’approccio diplomatico nei confronti di Mosca e il fatto che in tanti, in Europa, sembrerebbero aver messo da parte i toni bellicosi e bellicisti contro Putin. A questo punto è lecito suppore che i leader occidentali stiano premendo per giungere ai negoziati prima che la Russia vinca definitivamente sul campo di battaglia. Il nodo quindi è cosa concedere a Mosca. Perché non si può certo cedere su tutta la linea e darla vinta a Putin né però andare ancora avanti ad oltranza in un conflitto che sta causando morte e distruzione e svuotando arsenali e casse di Usa e Ue.


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