Politica

Paolo Borsellino e il dovere della memoria

L'eredità di Borsellino, quel colloquio con Martelli

di Anna Tortora -


𝐏𝐚𝐨𝐥𝐨 𝐁𝐨𝐫𝐬𝐞𝐥𝐥𝐢𝐧𝐨 𝐦𝐨𝐫𝐢𝐯𝐚 𝐢𝐥 𝟏𝟗 𝐥𝐮𝐠𝐥𝐢𝐨 𝟏𝟗𝟗𝟐, 𝐢𝐧𝐬𝐢𝐞𝐦𝐞 𝐚 𝐜𝐢𝐧𝐪𝐮𝐞 𝐚𝐠𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐜𝐨𝐫𝐭𝐚. 𝐋𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐞𝐫𝐞𝐝𝐢𝐭𝐚̀ 𝐞̀ 𝐮𝐧 𝐠𝐫𝐢𝐝𝐨 𝐜𝐢𝐯𝐢𝐥𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐧𝐜𝐨𝐫𝐚 𝐨𝐠𝐠𝐢 𝐜𝐡𝐢𝐚𝐦𝐚 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐬𝐩𝐨𝐧𝐬𝐚𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚̀. 𝐄 𝐪𝐮𝐞𝐥 𝐜𝐨𝐥𝐥𝐨𝐪𝐮𝐢𝐨 𝐜𝐨𝐧 𝐌𝐚𝐫𝐭𝐞𝐥𝐥𝐢 𝐫𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐮𝐧 𝐧𝐨𝐝𝐨 𝐢𝐫𝐫𝐢𝐬𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐫𝐞𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐚𝐧𝐚.

“Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo.”

A 33 anni dalla strage di via D’Amelio, le parole di Paolo Borsellino restano scolpite nella coscienza del Paese. Era il 19 luglio 1992 quando un’autobomba uccise il magistrato sotto casa della madre, a Palermo, insieme ai cinque agenti della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Una strage annunciata, avvenuta appena 57 giorni dopo l’uccisione di Giovanni Falcone a Capaci. Due attentati che segnarono profondamente la storia della Repubblica, ma che accesero anche una nuova consapevolezza civile. L’Italia, da quel momento, non fu più la stessa.

Paolo Borsellino: l’𝐮𝐨𝐦𝐨, 𝐢𝐥 𝐦𝐚𝐠𝐢𝐬𝐭𝐫𝐚𝐭𝐨, 𝐢𝐥 𝐬𝐢𝐦𝐛𝐨𝐥𝐨

Paolo Borsellino era consapevole del rischio che correva. Ma non arretrò. Non si fece intimidire. Continuò a lavorare fino all’ultimo giorno, portando avanti indagini delicate e cercando verità scomode, anche dentro lo Stato. La sua figura, oggi, non è solo un simbolo della lotta alla mafia, ma un riferimento etico per intere generazioni.

Diceva: “La lotta alla mafia non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione, deve essere anche un movimento culturale e morale che coinvolga tutti”.

Il r𝐚𝐩𝐩𝐨𝐫𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧 𝐌𝐚𝐫𝐭𝐞𝐥𝐥𝐢 𝐞 𝐢𝐥 𝐜𝐨𝐥𝐥𝐨𝐪𝐮𝐢𝐨 𝐦𝐚𝐢 𝐜𝐡𝐢𝐚𝐫𝐢𝐭𝐨

All’epoca dell’attentato, il Ministro della Giustizia era Claudio Martelli. Fu lui, nel 1991, a chiamare Giovanni Falcone al Ministero, affidandogli la direzione degli Affari Penali. Una scelta importante, che aveva permesso al pool antimafia di rafforzarsi a livello nazionale.

Dopo la morte di Falcone, Borsellino intrattenne un dialogo istituzionale con Martelli. Il 1º luglio 1992, appena 18 giorni prima della strage, i due si incontrarono per un colloquio riservato al Ministero. Borsellino riferì informazioni sensibili, parlando apertamente di possibili contatti tra rappresentanti dello Stato e Cosa Nostra.

Quel colloquio – rimasto a lungo in ombra – è oggi considerato uno dei momenti più misteriosi e importanti della storia recente. Martelli ha sempre affermato di aver avuto con Borsellino un rapporto di rispetto e collaborazione, pur nei limiti del proprio ruolo politico.

Ma il contesto di quei giorni, le tensioni, le incertezze e i sospetti che circolavano attorno alla cosiddetta “trattativa Stato-mafia”, gettano ancora oggi ombre e domande su quanto accadde davvero nelle settimane precedenti all’attentato di via D’Amelio.

𝐋𝐚 𝐦𝐞𝐦𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐜𝐢 𝐫𝐢𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐚

Trentatré anni dopo, ricordare Paolo Borsellino non è un gesto formale. È un atto di impegno. Perché la sua battaglia non fu solo contro la mafia, ma anche contro il silenzio, la rassegnazione, la paura. La sua morte ci ha consegnato una responsabilità: quella di non restare spettatori.

Oggi, il suo messaggio resta straordinariamente attuale. La mafia non è sconfitta. Cambia volto, si infiltra, si adatta. Ma non è invincibile. Borsellino ci ha insegnato che si può combatterla. E che la vera forza della legalità è il consenso dei cittadini.

Come disse: “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.”
Lui ha scelto di non avere paura. E noi?


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