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Paolo Stern: “Accesso al mercato del lavoro non semplice per tanti ragazzi, in cui è alto il rischio di fuga dei cervelli”.

di Redazione -


Fa discutere, da giorni, la vicenda di una giovane ingegnera che ha rifiutato di lavorare per 750 euro netti aprendo partita Iva. Una denuncia che sollecita il mondo delle imprese e del lavoro a più di una risposta o riflessione. Paolo Stern, consulente del lavoro e presidente di NexumStp commenta così il fatto: “E’ sintomatico di un accesso al mercato del lavoro non semplice per tanti ragazzi, in cui è alto il rischio di fuga dei cervelli”.

Ma quali sono i confini della libera negoziabilità salariale? E quali le previsioni di legge in materia di lavoro parasubordinato? “La disciplina prevista dall’art. 2 del dlgs 81/2015 – risponde Sterm –  sollecita l’intervento della contrattazione collettiva nel mondo della parasubordinazione m,a purtroppo non ha avuto molto ascolto. Le aziende virtuose che competono senza schiacciare i salari dovrebbero essere supportate nel mercato con vantaggi competitivi a fronte di comportamenti socialmente responsabili certificati”.

Sulla denuncia in Rete, Stern è netto: “Spesso, nel racconto di fatti come questo che diventano virali, si perdono dettagli tecnici e si entra in generalizzazioni poco utili per comprenderne il vero significato. Ad esempio lavorare a partita Iva è una locuzione che non ha molto senso. Non è la qualificazione fiscale del reddito a definire la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro ma esattamente il contrario. Dimmi quali sono le caratteristiche del rapporto di lavoro che vuoi avviare e ti dirò come qualificare il corrispettivo della prestazione: questa è la risposta da dare”.

Quindi nessuna possibilità di equivoco? “Se il rapporto di lavoro assume le caratteristiche di una collaborazione improntata al principio della subordinazione –  cxhiarisce Stern –  la partita Iva è impropria. Il reddito non potrà che qualificarsi come reddito da lavoro dipendente e il suo ammontare sarà definito, nei termini di valori minimi, dalla contrattazione collettiva di riferimento. Se, al contrario, la prestazione assume la connotazione di lavoro autonomo, allora sì che la famigerata partita Iva torna in gioco. Specialmente oggi che può godere di robusti benefici fiscali e la pattuizione del corrispettivo rientra nella libera negoziabilità tra le parti individuali, che deve fare il paio con l’effettiva libertà di organizzazione della propria attività in termini di modalità, tempi e luoghi di esecuzione della stessa”.

La difficoltà sta proprio nel mezzo: in quei rapporti che sono sul crinale che delimita la valle della subordinazione rispetto a quella dell’autonomia, confine in diversi casi stretto e poco definito. “Il jobs act – precisa Stern –  ha fornito una disciplina di superamento dell’esperienza dei contratti a progetto, che è stata modificata e rimaneggiata dalla giurisprudenza e dalla normativa successiva, prevedendo l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato nel caso in cui la presenza del committente si facesse troppo invasiva. Lo stesso articolo 2 del decreto 81 del jobs act sollecita le parti sociali a definire accordi collettivi per disciplinare il mondo della parasubordinazione, definendo regole normative ed economiche. Invito purtroppo poco raccolto dalle parti sociali e spesso male interpretato andando a copiare regole del lavoro subordinato più che a definirne di nuove e specifiche”.

L’approccio al lavoro dei giovani poi è fatto di diritti e di opportunità. “Non buttiamo al mare gli strumenti di formazione pratica e e inserimento al lavoro come i tirocini – risponde Stern -. Elimineremmo sull’altare del “furor di popolo” uno dei pochi strumenti di politica attiva del lavoro oggi esistente. In un momento in cui c’è carenza di manodopera specializzata e qualificata, è intollerabile vedere i nostri ragazzi costretti a pietire contratti, pur di rimanere in Italia senza prendere rotte internazionali. Purtroppo, in qualche caso sono le aziende che, comprimendo oltre ogni limite i costi del lavoro, sembrano più competitive e si aggiudicano appalti e commesse pubbliche”.

Ecco l’altro grande tema, la qualificazione dell’impresa. “La sostenibilità non può essere solo ambientale ma deve essere soprattutto sociale -sostiene Stern – . Quindi dovrebbero essere ampliati i vantaggi competitivi di chi rispetta le regole e lo fa in modo certificato. Asseco, sa8000, parità di genere, sono tante le certificazioni che possono attestare il comportamento socialmente responsabile delle imprese. Andrebbero sempre più sostenute”.

Infine, un tema interessante che potrebbe costituire una via d’uscita a tanti problemi è il salario minimo legale. “Ma dall’introdurre una riforma che sostenga i salari a trovarsene una che annichilisce la contrattazione collettiva, il passo è breve. E il rischio alto”, conclude Stern.

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