Il Pontefice, domenica scorsa 31 agosto, si è espresso in modo diretto all’Angelus in Piazza San Pietro, ed in merito ha posto una riflessione sul Vangelo giornaliero di Luca, in cui Gesù pranza dai farisei evidenziando “che c’è una corsa a prendere i primi posti”.
Venticinque anni dopo, la gioia dei giovani incontra Papa Leone XIV – L’Identità
Quindi invita invece la Chiesa ad essere una “casa in cui si è sempre benvenuti, dove i posti non vanno conquistati” e di riconoscere la nostra dignità come “figlia o figlio di Dio”. Insomma, quasi un monito preciso e incisivo in merito a come è la società di oggi, sia orientata al primato ad ogni costo, dove l’etica e la moderata sobrietà sembrano aver lasciato il posto all’apparenza e alla bramosia di conquista e di possesso sopra ogni cosa, sembrerebbe anche in ambienti ecclesiastici.
Leone XIV all’Angelus: “La Chiesa una palestra di umiltà”
Pertanto, il Santo Padre ci ricorda in merito che: “L’umiltà” è “la libertà da sé stessi” e nasce “quando il Regno di Dio e la sua giustizia hanno veramente preso il nostro interesse e ci possiamo permettere di guardare lontano: non la punta dei nostri piedi, ma lontano!”. Con tale assunto, Leone XIV ci vuole dire e far capire che la vita non è una gara, aggiungendo che la Chiesa deve essere “palestra di umiltà”.
Leone inoltre afferma, rivolgendosi in particolare proprio alla Chiesa ammonendo: “Chiediamo oggi che la Chiesa sia per tutti una palestra di umiltà, cioè quella casa in cui si è sempre benvenuti, dove i posti non vanno conquistati, dove Gesù può ancora prendere la parola ed educarci alla sua umiltà, alla sua libertà. Lasciarsi scuotere dalla Parola di Cristo”.
Successivamente, rivolgendosi ai fedeli presenti, il Vicario di Cristo sottolinea come andare a Messa la domenica “significa anche per noi lasciare a Gesù la parola” perché lui “si fa volentieri nostro ospite e può descriverci come Lui ci vede”. Infatti, una volta per i giovani e le persone in generale era abbastanza normale andare a messa la domenica, diciamo diveniva quasi un appuntamento fisso, orientato ovviamente all’eucarestia e al dialogo con il Signore, mentre nella modernità attuale che stiamo vivendo, e quasi subendo a causa della secolarizzazione, può tornare di utilità l’esortazione di Prevost, il quale ci invita a “fermarci a riflettere”, in modo da “lasciarci scuotere da una Parola che mette in discussione le priorità che ci occupano il cuore: è un’esperienza di libertà. Gesù ci chiama alla libertà”.
Questa corsa a prendere i primi posti descritta nel Vangelo “succede anche oggi, non in famiglia, ma nelle occasioni in cui conta ‘farsi notare’; allora lo stare insieme si trasforma in una competizione”, afferma. A tal fine, Leone XIV sottolinea “umiltà” come la parola chiave di questo Vangelo per descrivere la libertà. “Chi si esalta, in genere, sembra non avere trovato niente di più interessante di sé stesso, e in fondo è ben poco sicuro di sé stesso”, evidenzia il Pontefice.
Ma chi ha compreso di essere tanto prezioso agli occhi di Dio, chi sente profondamente di essere figlio o figlia di Dio, ha cose più grandi di cui esaltarsi e ha una dignità che brilla da sé stessa. Essa viene in primo piano, sta al primo posto, senza sforzo e senza strategie, quando invece di servirci delle situazioni impariamo a servire. Infine il Papa spiega inoltre come Gesù “era guardato con un certo sospetto” dai farisei, che erano “rigorosi interpreti della tradizione”. Nonostante ciò, “l’incontro avviene, perché Gesù si fa realmente vicino, non rimane esterno alla situazione” facendosi “ospite davvero, con rispetto e autenticità. Rinuncia a quelle buone maniere che sono soltanto formalità per evitare di coinvolgersi reciprocamente”. Avere ospiti allarga lo spazio del cuore e farsi ospiti chiede l’umiltà di entrare nel mondo altrui. Una cultura dell’incontro si nutre di questi gesti che avvicinano. Al termine della preghiera un accenno all’attualità: nel suo discorso, il Santo Padre chiede il cessate il fuoco immediato in Ucraina, martoriata da un conflitto nel quale, ancora oggi, si fatica ad intravedere la fine delle ostilità.