Politica

PRIMA PAGINA-Parola a Toti. Basta ritardi

di Giuseppe Ariola -


L’inchiesta ligure assume contorni sempre meno chiari e inizia ad apparire addirittura più fumosa di quanto non sembrasse inizialmente. L’incertezza sulla data in cui Giovanni Toti potrà proferire parola davanti ai pm, come chiesto formalmente dal suo avvocato, lascia spazio a suggestioni che potrebbero non essere poi così distanti dalla realtà. Proprio come già fatto negli ultimi giorni, ieri il legale è stato nuovamente in procura nel tentativo di definire una data per l’incontro del suo assistito con i magistrati, ribadendo che il presidente della Liguria “ha l’esigenza di farsi sentire”. Una data però ancora non c’è, circostanza per la quale anche in ambienti parlamentari si sta facendo largo l’idea che questa dilatazione dei tempi per ascoltare l’indagato senza dubbio più noto – ma anche quello maggiormente esposto – dell’indagine della procura di Genova possa essere funzionale a tenere il governatore sui carboni ardenti ancora per un po’ per diversi motivi. Innanzitutto, per i risvolti mediatici della vicenda che, come ritiene il ministro della Difesa Guido Crosetto, rappresentano una concausa della “pressione psicologica” a cui è soggetto Toti, nonché, come pensano in molti, un grave danno di immagine ai suoi danni, soprattutto per quanto riguarda alcune fughe di notizia relative all’indagine che sembrano non avere alcuna pertinenza dal punto di vista giudiziario. In secondo luogo, prorogare sine die il chiarimento di Toti sulla propria posizione in piena campagna elettorale per le europee di certo non aiuta i partiti di maggioranza che, ovviamente, vivono con un certo imbarazzo la situazione attuale. Tanto più perché le dichiarazioni che renderà il presidente della Liguria saranno decisive anche rispetto a una riflessione sull’ipotesi di un suo passo indietro. Riflessione che dovrà essere condivisa con i partiti che sostengono la giunta ligure, ma anche con i leader nazionali del centrodestra. Resta fermo che il presupposto perché ciò avvenga è la revoca degli arresti domiciliari, sebbene al momento, ha sostenuto ieri l’avvocato Savi, “prima di ogni altra cosa attendiamo l’interrogatorio”, escludendo un imminente ricorso al Tribunale del Riesame. Di certo l’ipotesi per la quale Toti potrebbe dimettersi addirittura prima di essere ascoltato si tende a scartare tra gli esponenti della maggioranza che sono più propensi a ritenere che questa opzione entrerebbe in campo solamente dopo l’interrogatorio. Quando si terrà. A voler invece pensar bene circa queste lungaggini, si ha semplicemente la conferma dei tempi biblici della giustizia italiana. E a proposito di tempi, o meglio di tempistiche, è però opportuna un’ulteriore considerazione. Per il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, “i tempi di un’indagine o di un provvedimento cautelare non possono essere dettati in nessun modo da fattori esterni, quali sono le vicende della politica, l’esistenza di una competizione politica europea alle porte. Sarebbe quello un segno di sottomissione”. Eppure, nell’ordinanza con cui il gip ha disposto l’arresto c’è scritto nero su bianco che la misura cautelare è resa necessaria dall’eventualità che Toti “possa reiterare, in occasione delle prossime elezioni, analoghe condotte corruttive”. A questo punto è lecito domandarsi quali dei due magistrati sbagli, perché le due cose non stanno insieme, anzi sono in estrema contraddizione l’una con l’altra. Infine, sullo sfondo di questa inchiesta resta il rapporto tra politica e magistratura. Interpellato dai cronisti nei pressi della Camera, a chi gli domanda se vi sia un nesso tra l’annuncio fatto dalla premier Meloni circa la riforma della giustizia che approderà sul tavolo del prossimo cdm e il caso Toti, il segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, replica con fermezza che “si era deciso di farlo prima che esplodesse qualsiasi vicenda”. E se il vicesegretario della Lega Andrea Crippa rilancia sulla responsabilità civile dei magistrati dopo aver bollato come “un accanimento” l’attesa di Toti per essere ascoltato, il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Alfredo Mantovano, ricorda che ogni ipotesi di separazione delle carriere dei magistrati viene vista quasi come l’immagine dei “Cavalieri dell’Apocalisse”.


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