Cultura & Spettacolo

Pasolini. L’uomo che conosceva il futuro

di Alessandro Borelli -


Una nuova biografia di Marco Trevisan

La poliedrica personalità di Pier Paolo Pasolini (Bologna 5.3.1922 – Idroscalo di Ostia – RM 2.11.1975), è stata analizzata dal giornalista e scrittore Marco Trevisan che, nel suo ultimo libro “Pasolini. L’uomo che conosceva il futuro” (Diarkos Editore.-, pag. 322, Euro 18,00), ne ricostruisce – attraverso una inedita lettura di interviste, documenti, fatti di cronaca, suoi testi letterari, poetici, teatrali e cinematografici e giudizi espressi da intellettuali, politici e scrittori – tutte le sfaccettature di poeta, narratore, saggista, regista, sceneggiatore, attore, autore di canzoni e testi teatrali, pittore, critico, opinionista che, con la sua opera, ha influenzato profondamente la cultura italiana. Pier Paolo Pasolini è unanimemente riconosciuto come uno dei “più influenti e contestati intellettuali del XX secolo e una delle personalità più eminenti della cultura nel dopoguerra” che “di fronte all’opinione pubblica, di fronte al Paese si sentiva sempre sotto giudizio” e che “ attraverso l’analisi del presente, prefigurava il futuro”. Attualissima e profetica la sua visione del “proletariato” descritta nella raccolta di poesie “Alì dagli occhi azzurri”, anzi del vero proletariato che, affermava, era in Africa costituito da “Milioni di africani che giungono sulle nostre terre, in Europa, spinti dalla miseria, dalla fame, dalla volontà di riscatto”. Marco Trevisan ha lavorato a lungo su Pasolini scavando negli archivi giudiziari in relazione alle querele e denunce conseguenti la sua omosessualità (causa della sua espulsione dal PCI e dall’insegnamento) e ai sequestri e dissequestri dei suoi libri e dei suoi film (che hanno contribuito al “successo” degli stessi perché “le cose proibite attraggono i ben pensanti”), nei manoscritti, nella corrispondenza, nelle cronache per ripercorrere esclusivamente la sua vita “artistica” (senza speculare, avallando questa o quella tesi, con ipotesi sulla sua tragica fine) e quella di uomo attento alla conservazione dei veri valori della società e in particolare della salvaguardia degli interessi del proletariato, confinato nelle borgate, messi in discussione dal sempre più imperante consumismo. Pasolini ha affrontato e messo in evidenza con grande coerenza e impegno civile le contraddizioni della società ponendo in primo piano la critica della società dei consumi e la questione dell’omosessualità anche dal punto di vista religioso (è stato processato anche per vilipendio alla religione). Dal punto di vista del suo impegno “politico”, Pasolini è stato anche, e forse soprattutto, un intellettuale scomodo sia per la “sinistra”, parte politica nella quale si riconosceva, perché riteneva il marxismo solo uno stimolo all’impegno civile e non solo una ideologia da vivere in maniera totale, sia per il “centro” e la “destra” che lo osteggiavano perché negava totalmente e valori della borghesia. Con il romanzo “Ragazzi di Vita” Pasolini ha spietatamente ricostruito la realtà sociale del sottoproletariato delle periferie romane la cui tensione etica è stata da lui espressa con ancor più grande vigore nel film “Accattone”. Il libro è articolato come la sceneggiatura di un film realizzata attraverso dialoghi in presa diretta ottenuti “montando” interviste, scritti dello stesso Pasolini e di autori “pasoliniani” e giudizi di attori e scrittori (Elsa Morante, Alberto Moravia, Dacia Maraini, Enzo Siciliano, Laura Betti, Franco e Sergio Citti, Ninetto Davoli, Totò, Maria Callas, Anna Magnani, Pino Pelosi, …) che, capitolo dopo capitolo, descrivono la “scena” dei momenti più significativi della sua breve e tormentata vita. Leggendo il “racconto” della sua vita si scoprono i suoi “interessi” che andavano oltre la necessità di essere in “contatto” con il mondo attraverso la poesia e la scrittura. Le sue posizioni “politiche” all’interno della “sinistra”, la necessità di mantenere in vita i dialetti e il pericolo insito nella letteratura resistenziale, specie quando la “Resistenza e del suo alone letterario si tenda a fare un mito, una cristallizzazione sentimentale e stilistica”. Il libro di Marco Trevisan consente anche di comprendere, attraverso una approfondita analisi dei suoi film, l’idea di cinema di Pasolini come “cinema di poesia”, il suo rapporto con la “scrittura in ogni sua forma” (romanzo, poesia, cinema, rubriche su periodici) e in particolare nella scrittura dei testi teatrali che sperava di farli tradurre e rappresentare a New York “per evitare di sentirli straziati dalle voci piccolo-borghese dei nostri pessimi attori”, frase che fa riflettere sulla scelta per i suoi film di “attori non professionisti presi dalla strada”. E di conoscere, attraverso le sue opere, Pier Paolo Pasolini come il poeta delle cose, della poesia come lotta, come azione, per il quale “niente è naturale, nemmeno la natura” e “la vita non sta in un solo sogno, ma in molti sogni” e il suo modo di essere regista, di concepire la recitazione e la peculiarità del suo gusto cinematografico che “non è di origine cinematografica, ma figurativa” che trova “la plasticità dell’immagine, sulla strada mai dimenticata di Masaccio”. Trevisan ripercorre e approfondisce dalle più diverse angolazioni tutta la vita di Pasolini – dalla nascita, alla sua formazione giovanile nel Friuli, al suo “trasferimento” nella capitale, alla sua atroce e mai chiarita morte violenta – utilizzate come tasselli di un musaico nel quale ricompone la storia di un uomo che è quella della cultura italiana.

Vittorio Esposito


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