Politica

Pd-Conte, scontro finale: caos alleanze a sinistra

I Dem archiviano il campo largo: "Mai con chi ha fatto cadere Draghi." Pressing su Calenda, partito diviso e Letta non esclude la corsa solitaria.

di Adolfo Spezzaferro -

Enrico Letta


I Dem archiviano il campo largo: “Mai con chi ha fatto cadere Draghi.”
Pressing su Calenda, partito diviso e Letta non esclude la corsa solitaria.

Il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle sono in guerra: dal campo largo a quello di battaglia. Il leader pentastellato Giuseppe Conte va all’attacco: “Ormai la macchina delle primarie siciliane è partita e il Movimento vi prenderà parte. In queste ore però leggo diverse dichiarazioni arroganti da parte del Pd. Non accettiamo la politica dei due forni. Quel che vale a Roma vale a Palermo”. Immediata e sferzante la replica del ministro della Difesa, il dem Lorenzo Guerini: “Penso che bisogna essere molto chiari da questo punto di vista: chi è stato protagonista della caduta del governo Draghi non può essere un interlocutore del Partito democratico. Ci sono protagonisti di queste scelte che hanno nomi e cognomi precisi e che non possono essere interlocutori del Pd”. “Il patrimonio di credibilità che Draghi ha assicurato a questo Paese – ha spiegato Guerini – non meritava di essere trattato come è stato trattato in queste settimane”. Quindi ha aggiunto: “La chiarezza non fa male, non è il momento delle ambiguità. Ciò che è avvenuto la scorsa settimana non è una di quelle contingenze normali della politica, è stato un punto di svolta”. Un punto di rottura, in realtà.

In casa Pd però se è chiaro che con il M5S è rottura definitiva (con l’eccezione delle primarie in Sicilia di oggi, dove sono ancora insieme) non è chiaro tutto il resto. Anzi, regna il caos. Tanto che più di qualcuno vorrebbe interpretare quel “ora pensiamo a noi” del segretario Enrico Letta come un voler correre da soli, come nell’era veltroniana dem. Forse non la esclude lo stesso leader. Certo è che tra veti incrociati e paletti, il campo ora è strettissimo. In tal senso, i dem vanno in pressing sul leader di Azione, l’ex Pd Carlo Calenda. Ma anche su questo fronte tira una brutta aria. “Non c’è alcuna intenzione da parte di Azione di entrare in cartelli elettorali che vanno dall’estrema sinistra a Di Maio. Questi cartelli sono garanzia di ingovernabilità e sconfitta. Agenda Draghi e agenda Landini/Verdi NON stanno insieme. Sono prese in giro degli elettori”. Così Calenda su Twitter. “Agli amici del Pd dico non fate lo stesso errore di FI di virare vs il populismo. ‘Agenda Draghi’ non è una mano di vernice per nascondere il No ai rigassificatori, il Sì ai sussidi a pioggia e al giustizialismo. In questa legislatura avete sbagliato tutto. Fermatevi e riflettete. PS ricordatevi Orlando che va a complimentarsi con i 5S dopo il loro intervento contro Draghi o che difende le ragioni di Conte a crisi aperta. Caro Enrico Letta fai chiarezza in casa tua”, ha puntato il dito il leader di Azione, che incassa l’adesione di Andrea Cangini, ex FI. Dal canto suo Orlando ha replicato con un chiarimento: “Non mi sono congratulato. Avevamo chiesto, tutto il Pd, di non annunciare il voto contrario e tenere uno spiraglio aperto. Ho detto al senatore 5s che speravo ci fosse ancora lo spazio per recuperare. Se tutti avessero svolto il tuo ruolo il governo Draghi sarebbe durato una settimana”.

Il clima palese è da lancio di stracci ad oltranza. Certo è che le trattative sono appena cominciate e che gli abboccamenti di certo non saranno dati in pasto ai giornali.

Anche l’altro ex Pd, il leader di Italia Viva Matteo Renzi è sul piede di guerra, rispetto al Pd. A buon diritto, peraltro, visto che corre voce che Letta voglia escludere i renziani da ogni eventuale alleanza elettorale. “Li voglio vedere nei collegi uninominali. Sarà un bagno di sangue per il Pd”, è la bordata di un dirigente Iv. A dire il vero tra i renziani c’è chi sostiene che alla fine il Pd potrebbe comunque recuperare l’accordo con Conte, nonostante lo scambio di accuse di queste ore. Per non farsi mancare niente, poi, Letta deve pure dar retta alla sinistra-sinistra, come alternativa ai centristi. Roberto Speranza, leader di Art. 1 fa presente che “la responsabilità della caduta del governo è di chi ha messo gli interessi di parte davanti a quelli del Paese. Lega e FI hanno deciso di correre al voto per sostituire il premier Draghi con uno di destra. Serve un centrosinistra nuovo che metta al centro il lavoro e la questione sociale. L’inflazione sta mettendo in difficoltà tante famiglie e imprese: da lì bisogna partire. E da una proposta che difenda beni e servizi pubblici, come sanità a scuola”. Ma al di là dei toni da campagna elettorale, il succo sta nel “consiglio” che il ministro della Salute dà a Letta circa la rottura con Conte. “Credo che il Movimento 5 Stelle ha commesso un errore grave in Senato ma per me l’avversario è e resta la destra”.

Il dato politico è che forse la corsa in solitaria al Pd gioverebbe, potrebbe fargli prendere molti più voti di quelli che rimedierebbe con un’alleanza sbagliata. Magari senza sinistra e M5 potrebbe correre con i centristi, che se è vero che sono in gran spolvero porterebbero – al di là dell’agenda Draghi – non pochi voti in dote. Tutto sta a cosa c’è nella testa di Letta adesso. Sempre se un giorno lo scopriremo.

Intanto vediamo: “#ItaliaTradita”. È l’hashtag telegrafico con cui il leader dem rilancia su Twitter il post del Pd in cui campeggia una foto di Mario Draghi. “L’Italia è stata tradita. Il Partito democratico la difende. E tu, sei con noi?”. Insomma, per adesso l’ombra ingombrante di Draghi aleggia in casa dem. Come se non ci fossero alternative a schiacciarsi tutti sull’agenda del premier. Come se quel discorso di SuperMario – “Sono qui perché me lo chiedono gli italiani” – sia la formula magica per vincere le elezioni. L’affollamento verso il centro fa venire in mente che forse i dem ora potrebbero dire qualcosa di sinistra. Senza l’aiuto della sinistra-sinistra.

A tal proposito resta forte il sospetto che Letta ancora una volta si affiderà alle alleanze per darsi forza. E a tal proposito come dare torto agli analisti secondo i quali in base a come sceglierà le alleanze il Pd potrà essere o non essere decisivo alle elezioni del 25 settembre. Sì, è vero: i sondaggi dicono che il centrodestra è dato per favorito. Ma il Pd è pur sempre il primo o il secondo (a dividerlo da FdI sono pochi voti) partito italiano. Una volta potrebbe provare a governare dopo aver vinto le elezioni e non dopo averle perse.


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