Politica

Pd, è sindrome Schlein: ora hanno paura di noi

di Edoardo Sirignano -


Il Pd libero dagli apparati. È la svolta auspicata e predicata da Schlein in giro per l’Italia. Elly sa bene che i signori delle tessere, questa volta, non saranno determinanti e quindi si rivolge a quella sinistra che non è andata a votare, libera da lacci e lacciuoli del passato. L’idea che il nuovo simbolo del mondo Lgbt vuole far passare è una soltanto: riprendere quel cambiamento iniziato con la segreteria Zingaretti e finito poi con Letta. Da quando l’ex governatore ha lasciato il Nazareno per dedicarsi al solo Lazio, spinto dalle pressioni delle correnti, nei fatti, comincia quel declino, causa degli ultimi risultati elettorali. La sfida, quindi, della sardina è ripartire dall’apertura all’esterno di Nicolone per svincolarsi dai fili di quel “gotha”, che negli ultimi anni ha gestito la creatura dem a proprio piacimento. Per fare ciò, occorrono volti nuovi. Ecco perché la deputata affida la propria macchina a giovani come Furfaro, Sarracino, Braga e Gribaudo e non a collaudati strateghi, una volta generali di Renzi, che vorrebbero ancora condizionare le dinamiche del campo progressista nazionale. Gli ex fedelissimi del giglio, infatti, sono tutti con Stefano Bonaccini. A parte un defilato Franceschini, che tra l’altro non sta facendo campagna elettorale, l’apparato centrista sembra portare l’acqua a una sola parte. A dimostrarlo è lo stesso governatore dell’Emilia, che non rinuncia durante i suoi interventi, a inveire contro la sinistra. Le bordate, però, non spaventano gli avversari. “Siamo orgogliosi – spiega Marco Furfaro, portavoce della mozione – di dare una svolta identitaria. Uscire dall’indistinto è la strada per ridare credibilità a un partito che per tornare a vincere ed essere competitivo deve tornare a essere riferimento per i deboli, per chi non ha voce, per quei giovani troppo spesso abbandonati e non per quei signori delle tessere, che oggi ci accusano perché ci vedono come un qualcosa di diverso. L’ultima rilevazione che ci vede al 56,3% contro il 43,7% di Bonaccini, pubblicato dalla Stampa, è più di un semplice segnale. Alle primarie del 26 sarà tutta un’altra storia rispetto al primo turno. Nei gazebo, il vecchio, l’apparato conterà poco”. Il clima, intanto, è più teso che mai. Il presidente della commissione congressuale Franco Roberti, tra l’altro ex procuratore nazionale antimafia, ad esempio, parla di tesseramento anomalo nel casertano. Ci sono addirittura Comuni dove il Pd ha più iscrizioni che voti. Detto ciò, Bonaccini, insieme alla vice Picierno, che conosce bene quei territori, fa finta di nulla e al contrario se la prende con il coordinatore enti locali del Pd Francesco Boccia solo perché avrebbe invitato una ventina di sindaci a votare Schlein. Sponsorizzare un candidato, però, è normalità in campagna elettorale. Diverso, invece, è creare dei veri e propri pacchetti di militanti. A parte l’inchiesta, che ha i suoi tempi, di fronte a tali questioni non dovrebbero esserci spaccature in un partito normale. Nonostante ciò, chi, fino a ieri era il designato e oggi non sembra esserlo più, ha come unica priorità solo quella di difendere i propri beniamini. Non può, d’altronde, mettersi contro le truppe cammellate della Campania, che hanno consentito alla sua ex vice di perdere in qualsiasi sezione si trovi nei pressi di Napoli o Salerno, né contro quel gigante buono di Bari che le ha lasciato solo Lecce. Elly, comunque, non si arrende e riparte da quei centri, dove si parla più di politica e meno di clientele. Nel pomeriggio di Roma, ad esempio, lancerà un ultimo appello a Roma, Testaccio, nella culla di Zinga. L’obiettivo è non disperdere neanche un voto tra il Pd del dissenso. I sostenitori di Schlein, come ci rivelano dal suo comitato capitolino, infatti, starebbero tentando di convincere i fuori sede a votare, così come gli stranieri o quei sempre indecisi sedicenni. Diversa, invece, è la strategia dell’avversario, che punta sulla forza degli amministratori, questi ultimi schierati quasi da una sola parte. Le fasce tricolori, riprendendo un metodo ormai abbandonato e risalente al dopoguerra e sfruttando le dichiarazioni di autorevoli esponenti della sinistra come Bersani e Orlando, fanno intravedere quasi un nuovo “pericolo rosso” da evitare a ogni costo. Il metodo, secondo qualcuno, assomiglierebbe molto a quello dei tempi di Don Camillo e Peppone. Ecco perché la sfida di domenica 26 febbraio non è solo quella tra Schlein e Bonaccini, ma quella tra il cambiamento stoppato con Letta e l’attuale struttura, che vuole avviare una sorta di restaurazione, puntando sulle “paure moderate” nei confronti di estremismi e populismi.

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