Attualità

Peace

Macron a S. Egidio. L’incontro con il Papa. Gli scenari sull’Ucraina

di Rita Cavallaro -


“Non è sufficiente parlare di pace. Bisogna crederci. E non basta crederci. Bisogna lavorarci sopra”. Sembrano dichiarazioni di oggi, parole pronunciate da un pacifista come tanti che, di fronte allo spettro sempre più terribile di una guerra nucleare, chiede a Vladimir Putin e a Volodymyr Zelensky di sedersi al tavolo delle trattative per mettere fine al sanguinoso conflitto che rischia di sfociare nella distruzione del nostro mondo. E invece quelle parole di Eleaonor Roosevelt sono un’eco che arriva dal secolo scorso, dalla forza di una donna che ci credeva così tanto da smorzare i più distruttivi sentimenti di vendetta che, dopo la gravissima ferita aperta con l’attacco a Pearl Harbor, scuotevano il presidente Usa Franklin Delano Roosevelt. Gli Stati Uniti entrarono nella Seconda Guerra Mondiale l’11 dicembre 1941, quattro giorni dopo l’attacco kamikaze alle Hawaii. E nonostante le offensive e i contrattacchi continui, mai e poi mai Roosevelt scelse di premere il pulsante delle due bombe atomiche sul Giappone, il cui ordine arrivò dal suo successore, Harry Truman.
Tempi davvero lontani, ma oggi lo spirito di Eleonor dovrebbe muovere i passi dei grandi del mondo, di coloro che sono chiamati a trovare una soluzione per mettere fine all’aggressione dello Zar e alla resistenza di Kiev. E se finora la macchina della pace è rimasta ferma, anche a causa di un principio ideologico che voleva cercare nei pacifisti i putiniani, il vento pare del tutto cambiato dal monito di Papa Francesco. Il Pontefice, due settimane fa, lanciò l’appello per la pace e disse: “Di fronte al pericolo di una guerra nucleare impariamo dalla storia”. Senza dover andare così lontano, bastano le immagini dei funghi nucleari del secolo scorso, degli anni successivi vissuti sul filo del rasoio della Guerra Fredda, che sembrava un brutto ricordo e invece è un ricorso storico. La via mostrata dal Papa ha fatto sì che le parole si tramutassero in una marcia. La grande manifestazione senza bandiere in programma a Roma il 5 novembre, ma soprattutto gesti che, seppur piccoli, quando vengono fatti dai grandi diventano altamente simbolici e comunicativi. Proprio ieri il presidente francese Emmanuel Macron è andato prima a una preghiera per la pace a Sant’Egidio e poi dal Pontefice. I due capi di Stato hanno parlato insieme dell’Ucraina, della possibilità di porre fine al conflitto “senza lasciarsi coinvolgere in pericolose escalation” e di come “promuovere e sostenere iniziative di dialogo”. Seduti a un tavolo, si sono scambiati dei doni che appaiono come promesse. Il Capo dell’Eliseo ha avuto da Bergoglio, tra l’altro, il Messaggio per la Pace di quest’anno e Macron ha voluto suggellare il suo impegno regalando a Sua Santità una prima edizione in francese dell’opera Per la pace perpetua di Kant.
Dalle parole ai gesti, ma adesso è il tempo delle azioni. È necessario lavorare realmente alla pace, prendere le parole di Eleaonor Roosevelt e del Papa e trasformarle in negoziati, difficili da promuovere finché gli Stati Uniti con la Nato e l’Ue continueranno a inviare armi a Kiev per vedere l’effetto che fa, senza avere una strategia chiara e un obiettivo finale. D’altronde Zelensky non vuole trattare con Putin e lo Zar neanche ci pensa al presidente ucraino. Eppure non sarebbe contrario a un incontro con Joe Biden. Dal fronte Usa gli scenari della guerra potrebbero anche cambiare, con le elezioni di metà mandato, il cui favorito è Donald Trump. Nel frattempo il Pontefice fortifica il suo messaggio e oggi sarà al Colosseo, insieme ai leader delle religioni mondiali, per pregare per la pace in Ucraina e nel mondo.


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