Esteri

Pechino cede

di Martina Melli -


Alla seconda settimana di proteste, la Cina fa sapere che allenterà i suoi rigidissimi protocolli di quarantena anti-Covid e ridurrà anche i test di massa.
Un cambio di rotta più unico che raro, a dimostrazione del fatto che anche i regimi totalitari devono piegarsi al volere del popolo.
Nonostante i contagi sfiorino numeri da record, i cambiamenti, per forza di cose, dovranno arrivare. Negli ultimi giorni diverse città hanno iniziato a revocare i blocchi, ma le autorità sanitarie, invece di far riferimento al dissenso pubblico manifestato in piazza – il più grande spettacolo di disobbedienza civile nel Paese da anni – hanno parlato di un indebolimento del virus.
Le nuove linee “addolcite” dovrebbero includere test regolari dell’acido nucleico, nonché misure per consentire ai positivi e ai contatti stretti di isolarsi in casa a condizioni umane e ragionevoli, senza prelevamenti coatti o chiusure drastiche.
Dunque direttive molto diverse dai protocolli standard usati fin dall’inizio della pandemia. Quegli stessi inflessibili protocolli che hanno ostacolato il pronto soccorso alle vittime dell’incendio di Urumqi e che hanno messo a dura prova la sopportazione dei cittadini, con intere comunità bloccate per settimane, anche per via di un solo caso positivo.
La frustrazione dei cinesi rispetto alle restrizioni anti coronavirus è solo la punta dell’iceberg di un profondo e facilmente retrodatabile malcontento nei confronti del partito comunista e del regime del Presidente Xi Jinping, al potere dal 2012.
Poche ore dopo le violente sommosse di martedì a Guangzhou, le autorità di almeno sette distretti del vasto centro manifatturiero hanno dichiarato l’imminente revoca dei blocchi. Un distretto ha addirittura promesso la riapertura di scuole, ristoranti e attività commerciali, compresi i cinema. Anche città come Chongqing e Zhengzhou hanno annunciato allentamenti.
Con la decisione di cambiamento, è arrivata, necessariamente, la dichiarazione ufficiale del governo. Il vice premier Sun Chunlan, che gestisce l’emergenza sanitaria, ha dichiarato durante una riunione di esperti che la variante Omicron si sta indebolendo nella sua capacità di causare malattie gravi, consentendo alla Cina di migliorare gli sforzi di prevenzione.
“Dopo quasi tre anni di lotta contro l’epidemia, il sistema medico e sanitario del nostro Paese ha resistito alla prova”, ha affermato in un commento pubblicato dall’agenzia di stampa ufficiale Xinhua. “Il tasso di vaccinazione dell’intera popolazione supera il 90% e la consapevolezza e la qualità della salute pubblica sono migliorate in modo significativo”, ha concluso.
Sembra proprio che la Cina stia andando verso l’abbandono della politica “Zero Covid”. E forse, ci pare evidente, non solo per motivi di salute pubblica.
I disordini, le proteste e le rivolte sono scoppiate in un momento in cui l’economia è destinata a entrare in una nuova era di crescita, molto più lenta del passato. In borsa, le azioni cinesi di tutto il mondo sono inizialmente diminuite dopo le rivolte del fine settimana a Shanghai, Pechino e in altre città. Poi, grazie alla speranza di un nuovo approccio da parte delle autorità, sono risalite.
Il covid e le chiusure danneggiano l’economia cinese. Altri focolai potrebbero pesare molto sull’attività economica del Paese, ha affermato mercoledì il Fondo monetario internazionale.
Nel 2022, le rigide misure di contenimento della Cina hanno frenato l’attività economica interna e si sono estese ad altri paesi attraverso le interruzioni della catena di approvvigionamento. Una questione complessa che va guardata da molteplici punti di vista.


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