Economia

PENSIONI AL PALO

di Cristiana Flaminio -


L’inflazione divora anche la riforma delle pensioni. C’è poco, pochissimo, spazio e, per il momento, non c’è da sperare che il governo possa mettere mano a una rimodulazione della disciplina pensionistica. In altre parole, l’acqua è poca e le promesse e i sogni di Quota 41 non galleggiano nemmeno più. Per il centrodestra si tratta di un contraccolpo importante che rischia di far male soprattutto alla Lega che della riforma aveva fatto suo cavallo di battaglia. Per ora, però, solo una serie di delusioni. L’ultima delle quali è arrivata, come una mazzata, nel Def. L’inflazione, secondo i conti dei tecnici del ministero dell’Economia e delle Finanze, avrebbe rimpicciolito ancora di più la coperta già corta dei pochi fondi a disposizione. Che, a dicembre scorso in sede di legge di bilancio, avevano già costretto il governo a risparmiare dieci miliardi giungendo alla decisione di adeguare, in maniera differente, gli assegni pensionistici a seconda delle fasce di retribuzione. Che ci siano pochi margini d’azione, lo ha ammesso anche il leghista Riccardo Molinari: “Con pochi miliardi quota 41 non si fa, questo è chiaro. Dovremmo capire quante risorse avremo e come potremo avvicinarci a quell’obiettivo, che è lo stesso discorso della flat tax”, ha spiegato il deputato del Carroccio a Radio 24. Molinari, però, rilancia le ambizioni leghiste sul tema della previdenza sociale: “Non ci accontentiamo di una proroga della quota 103, il nostro obiettivo è quello di arrivare a quota 41, e migliorare quello che è stato fatto nella scorsa legge di bilancio, che sul fronte delle pensioni non è stato esaltante. Ci si aspettava sicuramente di più”.
Ma non è solo una questione di equilibri interni alla maggioranza o di sondaggi. Il problema viene sollevato anche dai sindacati che lamentano l’assenza di un dialogo con il governo. “Il tema delle pensioni è importante ma il governo è sparito, non ne parla più e non dà risposte”. Il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, ha svelato, in un’intervista a Radio Anch’io, che il dibattito con Palazzo Chigi, “si è aperto e chiuso subito”. Ma la situazione non è certo rosea, anzi c’è più di un’emergenza come quella, riferita dal leader Uil, legata a “ventimila donne che sono bloccate dalle modifiche di Opzione donna”. Insomma, i sindacati lanciano l’allarme e la polemica è servita. Sulla previdenza sociale c’è poco e per le pensioni non si riuscirà a spuntare chissà che.

Proprio su Opzione donna, nei giorni scorsi, era intervenuto l’ex ministro del Lavoro Andrea Orlando che, dai banchi dell’opposizione dem, ha annunciato sui social di aver presentato “una mozione per impegnare il Governo ad adottare, sin dal primo provvedimento utile, le opportune iniziative volte a ripristinare l’istituto di Opzione Donna nei termini previgenti la legge di bilancio 2023”. Orlando ha spiegato: “L’inaccettabile ridimensionamento di Opzione Donna, una misura introdotta nel 2004 e prorogata da tutti i governi che si sono succeduti, è stata al centro delle nostre sollecitazioni in Parlamento e delle proposte più volte presentate e respinte dal Governo, per tornare ai requisiti precedenti. Con le modifiche entrate in vigore da quest’anno, infatti, la platea delle lavoratrici che teoricamente potranno accedere ad Opzione Donna, scendono drasticamente dalle 17.000 ipotizzate sino al 31 dicembre scorso a neanche 3.000 donne”. Per Orlando: “Si tratta della conseguenza di scelte incomprensibili, dai dubbi profili di costituzionalità”.

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