Politica

Per favore no Landini

di Eleonora Ciaffoloni -


Mentre il nuovo Governo targato Meloni sforna decreti e si proietta verso la Legge di Bilancio, il Partito Democratico è rimasto ancora appeso ai risultati delle elezioni del 25 settembre, in uno stallo da “discussione filosofica”, come lo aveva definito Stefano Bonaccini alla Direzione del partito. Un’impasse che è specchio della fase costituente del Pd e che si potrebbe protrarre fino al 12 marzo 2023, giorno delle primarie per l’elezione del nuovo segretario. Difatti, sembra proprio che le energie di molti si stiano concentrando tra nomine, corse e rincorse, piuttosto che su una fervida opposizione – che era stata promessa da Letta a margine del voto.

Una unione di intenti che non sembra essere molto seguita, anzi, diverse sembrano le divisioni in atto. L’attenzione è infatti puntata sui candidati a segretario, ufficiali e ufficiosi, che si contendono man mano i riflettori. Tra questi proprio il governatore dell’Emilia Romagna, critico nei confronti del proprio gruppo, potrebbe essere uno dei papabili vincitori – a candidatura confermata – godendo del supporto dei riformisti Guerini e Lotti e con grande consenso alla base di partito ed elettori. A mettere i bastoni tra le ruote a Bonaccini è l’ala sinistra del Pd, che porta a stendardo il nome di Maurizio Landini come candidato in vista del 12 marzo. Il segretario della Cgil sembrerebbe per loro la migliore soluzione anti alleanze lontana dai cinquestelle e un’occasione per rianimare il senso di smarrimento latente all’interno del partito. A differenza dei sostenitori di Landini, c’è chi strizza l’occhio al Movimento: tra gli altri, uno dei nomi caldi è quello del fautore del campo largo Nicola Zingaretti. Si tratta però, di un candidato con ostacolo, poiché nel mezzo del suo percorso – probabilmente a febbraio – troverà le elezioni regionali per cui l’attuale governatore del Lazio dovrà valutare la propria posizione e scegliere la causa per cui immolarsi. Insieme a lui, al centro, un altro candidabile è Francesco Boccia. Il senatore potrebbe rappresentare non solo un punto di incontro tra Pd e cinquestelle e un collante tra l’amico Enrico Letta e i moderati, ma anche un pomo della discordia, a causa della questione Copasir. Difatti, se fino a poche ore fa i nomi per l’organo di sicurezza erano quelli di Guerini e di Borghi – designati dal gruppo come i più competenti in materia – ora è emerso anche Boccia tra i nomi in pole: un profilo che potrebbe essere reputato come valido anche dal M5S, in vista di un accordo quadro sulla presidenza delle commissioni di garanzia. Chi invece non nasconde più le proprie intenzioni, è il centrista sindaco di Firenze Dario Nardella che, dolente o nolente, sta seguendo le orme del suo nemico-amico Renzi. “Mi candido a portare delle idee, perché credo che oggi ci sia bisogno di una grande apertura della politica alla società civile, ci sia bisogno di idee forti, ma che camminano sulle gambe di persone credibili” ha detto Nardella in vista del 12 marzo. Candidato credibile, quindi, che potrebbe dare del filo da torcere al fronte di sinistra del partito, dove – per la serie matricole e meteore – sono sfumati i nomi dell’attivista Elly Schlein – considerata dal partito troppo di parte per la questione di genere – e di Aboubakar Soumahoro, neoeletto con l’alleanza Verdi/Sinistra. Tra tutti, però, la candidatura più “vera”, seppure in sordina, rimane quella dell’ex ministra Paola De Micheli che sotto l’ala di Pierluigi Bersani era stata la prima a lanciarsi per il congresso subito dopo le elezioni. Nel Pd, ormai, è la scomposizione a farla da padrone e due ombre incombono a destabilizzare ancor di più l’ambiente: da un lato la leadership preponderante di un Giuseppe Conte sempre più a sinistra; dall’altra la mancanza di un’opposizione che potrebbe decretare un crollo di consensi ben al di sotto del 18%.


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