Economia

Perchè Noi Rischiamo la Recessione

di Giovanni Vasso -

RAFFAELE FITTO MINISTRO


Mancano drammaticamente le competenze. Al Sud più che al Nord. I Comuni hanno accolto la sfida ma il rischio che il Pnrr non si trasformi in opere è alto. Troppo alto. Nei giorni scorsi, lo Svimez ha dato l’allarme: per la gestazione di un’infrastruttura sociale, nel Mezzogiorno, ci vogliono nove mesi in più rispetto alla media degli enti locali del resto d’Italia. Tempi biblici, elefantiaci, che rischiano di mettere una seria ipoteca sul piano da cui dovrebbe dipendere il rilancio del Sud, quindi dell’intero Paese. Dallo studio Svimez, curato da Carmelo Petraglia, Serenella Caravella e Gaetano Vecchione, emergono anche altre criticità. Una su tutte: la pianta organica dei Comuni. Dove ci sono pochi under 40 e ancora meno laureati, specialmente al Mezzogiorno.
Carmelo Petraglia, professore di economia politica all’Università della Basilicata, spiega a L’Identità: “Il campo principale delle difficoltà per i Comuni ha a che vedere soprattutto con le fasi iniziali di affidamento dei lavori. Sono, sostanzialmente, quelle che si riferiscono a tutte le attività finalizzate ad aprire i cantieri e che chiamano in causa le competenze interne alle amministrazioni comunali. Le maggiori difficoltà sono qui. Il fattore principale di difficoltà è la carenza di competenze tecniche che rallenta i tempi di progettazione e realizzazione delle opere”. Ma quali sono le figure che mancano? “Dagli architetti agli ingegneri, dagli esperti legali agli informatici – dice Petraglia -, ma mancano anche le competenze di tipo economico e contabile che saranno molto importanti per la gestione delle risorse del Pnrr dal momento che saranno i Comuni a doverle gestire e rendicontare”. Un dato positivo per il Sud arriva dal fatto che gli enti territoriali hanno deciso di collaborare, di mettersi insieme. Secondo i dati emersi dallo studio, il 43% dei Comuni meridionali hanno scelto di fare rete: “Al Centro-Nord le unioni di Comuni erano già più diffuse. Al Sud è stata sfruttata l’opportunità di partecipare ai bandi in aggregazioni di Comuni, è quindi stato colto il senso del Pnrr, di maggiore protagonismo rispetto al reperimento dei fondi, questa volta diretto e non mediato, come tipicamente avviene, dalle Regioni”.
Ma quali sono i pericoli che si vivono in questa stagione? Il professor Petraglia non ha dubbi: “Il rischio è che non si riescano a realizzare in tempo le opere, non si riescano ad aprire e chiudere i cantieri per tempo proprio nei territori dove maggiori sono i fabbisogni”. Di recente, è intervenuto direttamente il ministro Fitto ma si può fare di più: “Molto opportunamente – spiega Petraglia -, il governo è intervenuto con un’azione di semplificazione. Ma si tratta di misure che incidono soprattutto sulla tempistica di esecuzione delle opere. Al Sud, però, occorrerebbe accelerare anche le fasi preliminari. Pertanto sarebbe utile rafforzare con nuove competenze interne le amministrazioni locali per scongiurare ogni rischio”. Non si scappa. È il cane che si morde la coda: “Bisogna colmare il gap in termini di organici perché i Comuni, negli ultimi anni, hanno sopportato i costi, in termini di risorse umane e finanziarie, dell’austerità, con il blocco del turnover e delle nuove assunzioni. Con il Pnrr, i Comuni si sono assunti una responsabilità e vanno aiutati e supportati per portare a compimento il piano e preservarne le finalità di coesione”. La situazione dentro gli enti locali è serissima: “Al Sud, ancora più che al Nord, è molto bassa la quota di under 40 nei Comuni. Ancora più bassa è quella dei laureati. C’è un problema sia di quantità che di qualità negli organici di quegli enti che, invece, sono i più vicini ai cittadini”. Un ossimoro, una contraddizione. Che rischia di pesare, moltissimo, sul futuro prossimo dei territori. E, a proposito di territori, c’è un altro tema. Quello delle Regioni e dell’autonomia. Il piano, infatti, sembra proporre una rivoluzione che il governo non avrebbe colto: “Il Pnrr, rispetto alla politica di coesione, ha un approccio innovativo: restituisce protagonismo ai Comuni che poi sono gli enti più prossimi alle famiglie e alle imprese e che negli anni hanno subito il ruolo di mediazione delle Regioni e il loro centralismo nell’allocazione delle risorse. L’autonomia differenziata, invece, si muove su una dinamica conservativa che avvantaggia solo i presidenti di Regione. Sostituirebbe il tanto deprecato centralismo di Stato con un nuovo sovranismo regionale. Che potrebbe cancellare il protagonismo e il ruolo stesso dei Comuni che, in qualità di enti di prossimità rispetto ai cittadini, possono interpretare al meglio le esigenze delle famiglie e delle imprese”.

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