Esteri

Petrocelli: “I Brics cambieranno le sorti del mondo. L’allargamento diminuirà le tensioni”

di Edoardo Sirignano -

Sen. Vito Petrocelli ex presidente della commissione Esteri ©imagoeconomica


di EDOARDO SIRIGNANO

“Negli anni scorsi l’Occidente trattava i Brics come una farfalla incapace di contrastare il predominio del G7. Oggi, invece, il battito di questo lepidottero potrebbe cambiare le sorti del mondo”. A dirlo Vito Petrocelli, presidente dell’Istituto Italia Brics e già presidente della commissione Esteri del Senato.

Perché è importante il prossimo vertice?

Sia per i contenuti trattati che per il momento in cui si svolge. Bisognerà capire come verrà allargato il gruppo dei partecipanti al contesto multipolare e soprattutto quali saranno le regole per le nuove adesioni. Si passerà a un altro tipo di formato, con caratteristiche marcatamente geoeconomiche e non più geopolitiche.

Cosa è cambiato rispetto a qualche anno fa?

I Brics, fino a ora, sono stati guidati soprattutto da Russia e Cina. Adesso l’iniziativa, invece, è totalmente nelle mani di Pechino. Mosca ha ben altro a cui pensare.

Qualcuno dice che si va verso una nuova Nato. È d’accordo?

I Brics hanno sempre detto che il loro gruppo non è paragonabile né al G7, né all’Ue e alla Nato, sia per caratteristiche che per funzioni. Non saranno mai un’organizzazione a scopo difensivo, tantomeno avranno regole stringenti come quelle dell’Europa. Detto ciò, stiamo parlando di un gruppo di Paesi diventati, non da pochissimo, il punto di riferimento del Sud del mondo. L’allargamento ad altri, al contrario di come dice qualcuno nel campo occidentale, non provocherà maggiori attriti, ma diluirà le tensioni sparse per il pianeta. Penso a India e Cina che potranno risolvere la loro controversia sui confini. I nuovi ingressi potranno stabilizzare il globo, creando piccoli poli di interesse locali e regionali. Si annulleranno, quasi del tutto, le contrapposizioni esistenti.

Quali saranno le new entry più importanti?

La tipologia di Paesi che si affacciano al gruppo Brics comprende due tipologie. C’è chi ha già presentato richiesta ufficiale, che sarà valutata in questi giorni e chi, invece, ha presentato una sorta di dichiarazioni di intenti. Nel primo gruppo ci sono certamente due nazioni importanti sia dal punto di vista geopolitico che anche energetico: Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, prima vicinissimi al blocco occidentale. Altro ingresso da non sottovalutare è quello dell’Iran, fortemente voluto da Pechino. Si parla, poi, dell’Argentina, che ha come sponsor il presidente brasiliano Lula. Ci sono, infine, Egitto, Algeria e Indonesia, il più grande paese musulmano al mondo.

Una sorta di contraddizione verso chi dice che l’espansionismo cinese non vorrebbe “vicini forti” nel gruppo?

Assolutamente! I cinesi, come i russi e i sudafricani, non hanno messo veti.

Un gruppo così ampio, però, rischia di far saltare il controllo occidentale sulle grandi dinamiche economiche?

Negli anni scorsi l’Occidente trattava i Brics come una farfalla incapace di contrastare il predominio del G7. Oggi, invece, il battito di questo lepidottero potrebbe cambiare le sorti del mondo.

Un primo segnale potrebbe arrivare dal fronte ucraino. Magari riusciranno nell’impresa fallita da Nato ed Europa?

L’Europa non può fare da paciere. La sua politica estera è troppo appiattita su quella di Nato e Usa. Come puoi pensare di essere un promotore di un accordo, un negoziato, se continui a fornire le armi a una delle parti in lotta? L’Europa è schiacciata davanti alle proprie responsabilità, dovute all’attaccamento a una struttura che lo stesso Macron aveva dichiarato in stato di morte celebrale e che invece è stata rivitalizzata da Kiev. I Brics hanno la grande occasione per dimostrare che la loro politica multipolare è efficace anche nella risoluzione dei conflitti.

L’Italia dovrebbe tener conto di questi cambiamenti?

Meloni ha un grosso problema, lo stesso dei 5 Stelle nella scorsa legislatura. Ha gettato al vento la propria credibilità per attaccarsi a un confortevole euro-atlantismo, garantendo massima fedeltà all’alleato principale. Giorgia, oggi, è più la leader di Fratelli d’America che di Fratelli d’Italia.

Quest’equilibrio potrebbe cambiare se Trump vince le presidenziali negli Usa?

Chiunque ha fatto il presidente degli Stati Uniti non ha mai rischiato di perdere l’appoggio italiano. Il problema non è chi sarà il nuovo inquilino della Casa Bianca, ma piuttosto che tipo di politiche intraprenderà. Bisognerà capire se si tornerà al trumpismo del “prima l’America”, diverso quello di Salvini e Meloni, che nelle piazze gridano “prima l’Italia” e nei palazzi destinano migliaia di euro per sostenere la follia militare di Zelensky.


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