Economia

petrolio di Stato

di Giovanni Vasso -


Il governo ha deciso: la raffineria Isab-Lukoil di Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa, sarà “nazionalizzata”. È stata la premier Giorgia Meloni a rivendicare il salvataggio dell’infrastruttura, attorno alla quale grava un indotto che dà lavoro a ben 10mila persone. In una nota, il presidente del consiglio ha dichiarato tutta la sua “soddisfazione” per l’approvazione di un decreto legge “a tutela dell’interesse nazionale nei settori produttivi strategici”. Per Meloni si tratta di “una norma con la quale il governo interviene, tra l’altro, per garantire la continuità del lavoro nella raffineria Isab di Priolo”. Quindi la premier ha dichiarato che lo “scopo dell’intervento d’urgenza” è stato quello di “tutelare al tempo stesso un nodo energetico strategico nazionale e i livelli occupazionali così significativi per la Sicilia e l’intera nazione”.
La questione è nota ed è legata, a filo doppio, con le vicende belliche in Ucraina. La raffineria, infatti, afferiva al gruppo Lukoil, gigante petrolifero russo, per il tramite di una società svizzera. Se, inizialmente, la raffineria siciliana non era stata toccata dalle sanzioni comminate dall’Ue a Mosca, la vertenza si è aggravata nel momento in cui è arrivato lo stop, o quantomeno, la questione legata ai tetti al prezzo del petrolio prodotto in Russia che ha causato il disimpegno dell’azienda e lo stallo sostanziale che avrebbe portato, entro poche settimane, alla paralisi e alla chiusura totale dell’impianto.
Il governo italiano, però, ha deciso di intervenire. E lo ha fatto “nazionalizzando” anche se ammetterlo equivale a dire una parola sconveniente in una serata di gala. L’esecutivo nominerà un commissario riconoscendo la strategicità della raffineria (che, oltre a dare lavoro, direttamente o indirettamente a più di 10mila persone rappresenta un polo petrolchimico di capitale importanza per l’intero Mezzogiorno) e, perciò, adottando il regime della golden share che consentirà al pubblico di controllare la vita aziendale e sociale attorno all’impianto.
L’Italia non è l’unico Paese, anzi. In Europa, nei mesi scorsi, la Germania ha riacquistato il colosso della distribuzione di gas di Uniper, ri-acquisendo quote dalla società energetica finlandese Fortum. Lo Stato francese è entrato, di forza, nel capitale sociale di Electricité de France, la società energetica nazionale con forti interessi anche nella produzione nucleare. Bruxelles, finora, non ha fatto un plissé né contro Berlino e nemmeno contro Parigi. Non lo farà, probabilmente, neanche contro Roma. Il fatto è che l’Europa, nonostante le formali attestazioni di “superiorità” del mercato e gli impegni durissimi con quella normativa spigolosa anti-aiuti di Stato alle imprese, è alle prese con un nuovo paradigma. Gli Stati, dopo decenni passati a privatizzare, tornano fortemente sull’economia per tutelare gli interessi nazionali. Quelli strategici, più che economici. La dura lezione che la guerra tra Russia e Ucraina ha impartito al mondo, e in particolare al Vecchio Continente, è stata proprio quella della necessità di non dipendere da nessuno, di autonomia negli aspetti più decisivi e importanti della vita economica interna ai singoli Stati. Il governo Meloni, quella lezione, vuole applicarla nella maniera più larga possibile. E si inizierà, subito dopo Priolo, con la rete unica: un asset strategico che l’esecutivo intende mantenere pubblico, a disposizione dei privati ma di proprietà esclusiva dello Stato.


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