Cultura & Spettacolo

Piove su Roma horror

di Adolfo Spezzaferro -


L’Italia si tenga stretto Paolo Strippoli, regista non ancora 30enne ma già autore solidissimo che al suo secondo lungometraggio, dopo il delizioso A Classic Horror Story, con Piove ci regala il miglior horror nostrano degli ultimi anni. Il suo film è l’opposto di Siccità: se nell’opera di Virzì a Roma non piove e il Tevere si è prosciugato, nella pellicola di Strippoli, la Capitale è inondata dalla pioggia, finché dai tombini e dalle fogne non emerge una strana melma, i cui effluvi se respirati scatenano la violenza più nera e più cieca. Esalazioni che fuoriescono poi dai lavandini, dalle docce e che risvegliano istinti omicidi nelle case dei romani.
Roma è la capitale dell’horror, dunque. Dove non si vedono monumenti o luoghi ameni della Ztl, ma solo palazzoni periferici e condomini-campi di battaglia. Una Roma spesso al buio, oltre che sotto la pioggia, in preda all’abbandono, alla sporcizia. Nel film i luoghi sono soprattutto proiezioni, così come il nero che cola da occhi naso e bocca dei contaminati è uno spurgo interiore, una condensa venefica di disagio, rancore, violenza repressa. L’horror qui è allegoria della condizione umana, dove il fumo che rende cattivi non è l’elemento sovrannaturale ma metafora del male, che è umano, fin troppo umano. Ecco quindi che persino gli affetti e i legami familiari vengono meno di fronte ai sentimenti per troppo tempo repressi, che vengono letteralmente a galla.
Al centro della vicenda c’è la famiglia di Thomas, padre francese da tanti anni in Italia (Fabrizio Rongione, già attore-feticcio dei Dardenne) che vive le sue infinite giornate lavorative a ritmo di sveglie sul cellulare. Poi c’è suo figlio adolescente, Enrico, che non va più a scuola e odia tutti e che trova l’amore/riparo in una prostituta di una certa età (l’ottimo Francesco Gheghi, che si era già distinto in Padrenostro). E c’è sua sorella più piccola, sulla sedia a rotelle. In questa famiglia si è consumata una tragedia terribile che ha scatenato i sensi di colpa incrociati di padre e figlio, incarnati nell’immobilità di Barbara (la già molto brava Aurora Menenti). Quando padre e figlio saranno invasi dal fumo e inizieranno a spurgare dal loro animo nero ci sarà la resa dei conti.
Un horror del corpo, dove i mostri sono gli esseri umani. Un horror psicologico, dove la fotografia racconta i colori del disagio sociale, dell’orrore quotidiano, dell’alienazione, della solitudine, della violenza insensata. Anche la regia è notevole, a sottolineare con i movimenti di macchina lo stato mentale e i sentimenti dei protagonisti. Angosciante, la colonna sonora scandisce i momenti clou, quelli di terrore, alternata dalle sveglie del cellulare, che suonano come una marcia funebre.
A morire sembrerebbe la speranza, l’umanità dei personaggi. Ma la pioggia è acqua, che è vita. L’espiazione, la catarsi è ancora possibile, dunque.
Ma la sensazione di forte disagio che coglie lo spettatore permane per tutto il film, che narra di adolescenti perduti, di lavori alienanti, di padri e figli che si odiano e che vorrebbero uccidersi. Piove su una società contemporanea sempre più disumanizzata e disumana, in una Roma irriconoscibile, sfigurata. Dove un padre allettato ispira i pensieri più cupi. Dove una moglie in depressione può diventare un mostro casalingo da nutrire supinamente. Tutti nel film avevano una vita migliore, un sogno tirato fuori dal cassetto. Come Thomas, che voleva fare il cuoco e aprirsi un agriturismo. E ora cucina piatti immangiabili per i suoi figli rimasti senza madre. Come Enrico, che era solare e scherzoso e ora corre rapidamente verso l’autodistruzione e se la prende pure con l’unico amico che gli è rimasto. Come la sorella, che non vuole fare gli esercizi per tornare a camminare, condannando così giorno per giorno i responsabili della sua tragedia. Come il fantasma della madre/moglie, che incarna gli incubi più indicibili, trasfigurata nella parte più buia delle coscienze.
Ll’opposto di Siccità, dove il sole che essicca tutto è dato dalla fotografia bruciata. Qui i colori acidi della notte, della pioggia, delle fogne, dei tombini, dei bagni che trasudano il male oscuro fanno più paura del pensiero di morire di sete. Virzì è un regista consumato, osannato. Strippoli è se vogliamo ancora agli inizi. Ma è già uno dei nostri migliori autori. Piove è un ottimo horror, nella migliore tradizione di un genere che in Italia conta maestri di fama mondiale e autorevolezza indiscussa. Ma è anche molto altro: incarna la speranza che il nostro cinema possa tornare ad essere grande.


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