Politica

Poker nomine per Meloni. Gli uomini del Presidente

di Giovanni Vasso -

SILVIO BERLUSCONI PRESIDENTE FORZA ITALIA GIORGIA MELONI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO MATTEO SALVINI MINISTRO INFRASTRUTTURE


Ci vuole metodo. Questo è chiaro. Per sbrogliare la matassa ingarbugliatissima delle nomine di primavera, il governo deve trovare una strategia, una regola. Basterebbe anche un modulo, fisso e condiviso, che fluidifichi i rapporti nella maggioranza, ne cristallizzi i rapporti di forza in una formula magica che consenta alla maggioranza di dribblare le polemiche interne, i mugugni, i mal di pancia e di andare in rete con la suddivisione delle poltrone delle grandi partecipate di Stato. Ci sono tanti spazi liberi. L’unico titolare fisso sembra Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, che si è ulteriormente blindato, ieri, diffondendo i numeri, più che sostanziosi, del bilancio della società.

 

Un metodo, dunque. Un indizio lo si può rintracciare nel modulo con il quale il centrodestra scenderà in campo per la partita delle presidenze delle commissioni bilaterali: 7-4-4-2. Fratelli d’Italia, secondo quanto riporta Adn Kronos, terrebbe per sé almeno sette presidenze, quattro a testa a Lega e Forza Italia, due nella disponibilità dei partiti di centro. In più, ci sarebbe il jolly da giocarsi a favore dell’opposizione per domare eventuali polemiche. Considerato che, sulle partecipate, le minoranze non toccheranno palla (e molto probabilmente neanche i centristi), se fosse scelto questo modulo, Fratelli d’Italia otterrebbe la metà delle poltrone, lasciando le altre agli alleati. In pratica, il 50% a Fdi, il 25% ciascuno a Lega e Fi. Una soluzione quasi salomonica, considerando i sondaggi. Ma non per questo praticabile. Anzi. Meloni non s’è dimenticata di quando, unica all’opposizione del governo Draghi, non le fu riconosciuto nemmeno un consigliere nel Cda Rai.
Le nomine di primavera saranno (almeno) 135. Che, a cascata, potrebbero aumentare in un domino di incarichi. Cambieranno i manager, ma anche i consiglieri d’amministrazione. Fratelli d’Italia vuole le poltrone che contano, cioè quelle degli amministratori delegati, Lega e FI non si accontenteranno di presenziare nei Cda. Se per Eni vale “squadra che vince non si cambia”, per Enel si apre la successione a Starace. Stefano Donnarumma, attuale ad di Terna, è tra i quotatissimi. Dovesse fare il salto, lascerebbe vuota la poltrona della società delle infrastrutture energetiche. A quel punto, però, il governo potrebbe pescare il nuovo Ceo di Terna da Cassa Depositi e Prestiti, che è il vivaio dei talenti italiani, un’autentica cantera di manager di Stato, da cui – solo qualche giorno fa – è arrivata la nuova presidente di Acea, Barbara Marinali. Già a capo di Webuild e di Open Fiber, Marinali arriva mentre la municipalizzata romana attraversa una fase delicata legata alle denunce presentate da alcune hostess per presunti maltrattamenti.

 

Ma Donnarumma dovrà guardarsi le spalle. Per Enel, infatti, è spuntato il nome di Flavio Cattaneo, già ad Rai e Telecom, nome molto gradito a Fi che continua a spingere forte per il ritorno di Scaroni alla presidenza della società. Occhio all’outsider: c’è chi mormora che possa rientrare nella corsa alla poltrona da Ceo di Enel anche Paolo Gallo, attuale ad di Italgas. La partita si fa interessante anche per il futuro ad di Leonardo. Alessandro Profumo sarebbe in uscita, Roberto Cingolani sarebbe sostenuto direttamente da Giorgia Meloni mentre scalpita Lorenzo Mariani, vicino a Guido Crosetto. Ma tra i due litiganti, c’è il rischio che a spuntarla sia il terzo, cioè Gian Piero Cutillo, già a capo della divisione Elicotteri di Leonardo.

 

A Claudio Descalzi, ad di Eni, le precauzioni non sembrano mai troppe. La Lega lo ha messo in discussione, forse solo per calcolo e strategia. Lui ha ricevuto, insieme a tanti attestati di stima e di fiducia, il sostegno della premier Meloni. Ricopre un ruolo importantissimo, diplomatico oltre che economico. Ma dato quando il gioco si fa duro è meglio lasciar parlare i numeri. ieri Eni ha snocciolato le cifre del bilancio del 2022. L’utile netto, a 13,3 miliardi, è salito del 207% rispetto all’anno passato. L’Ebit raddoppia a 20,4 miliardi. Eni staccherà cedole agli azionisti per 5,4 miliardi. Carta canta. Per schiodarlo, ci vorrà molto più che un take di agenzia dettato da “fonti leghiste” più o meno anonime. L’ad, infatti, ha rivendicato i risultati di un anno vissuto pericolosamente, tra crisi energetica e l’obiettivo di affrancare l’Italia dalle fonti energetiche russe, aprendo nuovi canali di approvvigionamento, specialmente in Africa. Lavoro iniziato con Draghi, che prosegue con Meloni. In una perfetta continuità a cui la premier non avrebbe la minima intenzione di rinunciare.


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