Attualità

Poliziotti e garanzie: il doppio binario che serve alla giustizia

di Giuseppe Tiani -


Nel delicato equilibrio tra legalità e sicurezza, esiste un’area grigia che rischia di compromettere l’efficacia delle funzioni e l’azione delle Forze di Polizia, e la serenità personale e professionale di chi le rappresenta. Si tratta del momento in cui, a seguito di un intervento operativo, un appartenente alle Forze di Polizia viene iscritto nel registro delle notizie di reato, per fatti occorsi nell’esercizio dell’adempimento di un dovere o per legittima difesa. Una procedura obbligatoria per il pubblico ministero, che tuttavia, ipso facto si traduce in una condanna, anche per l’amplificazione mediatica e social dei fatti di cronaca, oltre la gogna di parte del mondo politico che mal tollera le funzioni e il lavoro dei poliziotti. Per affrontare la datata criticità, patrimonio irrisolto del dibattito pubblico e politico, due rilevanti sindacati di poliziotti e dirigenti di pubblica sicurezza come il Siap e l’Anfp, hanno inviato un’articolata lettera al Governo nella quale chiedono, l’introduzione normativa di un “doppio binario” procedurale a tutela degli operatori delle forze di polizia, quando agiscono in presenza di una causa di giustificazione, come la legittima difesa, l’esercizio di un diritto, l’adempimento di un dovere o l’uso legittimo delle armi, scriminanti previste dal vigente codice penale.
In particolare, hanno chiesto che quando emergano elementi oggettivi e documentati che giustifichino la condotta dell’operatore, non si proceda automaticamente ma si consenta all’Autorità Giudiziaria una valutazione preliminare degli elementi entro un termine breve, e prima dell’eventuale iscrizione nel registro degli indagati, ma garantendo agli appartenenti delle forze di polizia gli stessi diritti di chi abbia ricevuto un’informazione di garanzia.
I sindacati non hanno richiesto privilegi, impunità o immunità, ma equilibrio. Non una zona franca per chi sbaglia ma una garanzia per chi, nell’esercizio del proprio dovere, si trova ad affrontare situazioni ad altissima tensione, in contesti imprevedibili e pericolosi, ove sono richieste decisioni da prendere in pochi concitati istanti ma le cui ripercussioni possono durare anni. È evidente che l’esigenza riguarda tutti coloro che agiscono in condizioni di servizio critiche, ed in cui l’uso legittimo della forza può essere messa in discussione. Ecco perché la modifica normativa dovrebbe avere ricaduta generale, e non limitarsi agli operatori di polizia, ma estesa, in coerenza con i principi costituzionali, a tutti i soggetti pubblici e privati che intervengono per tutelare la sicurezza propria o altrui, l’ordine e la legalità quando si agisce in presenza di scriminanti penali. Nell’ambito del contesto della dibattuta e divisiva riforma della giustizia, che per il Governo è prioritaria in questa legislatura – sarebbe un errore non considerare e risolvere questo nodo. Riformare la giustizia significa anche tutelare chi la giustizia è chiamato a farla rispettare sul campo, ogni giorno e ogni notte. Le scriminanti non sono escamotage per sfuggire a responsabilità, ma istituti di civiltà del nostro ordinamento giuridico, che riconosce e giustifica quando legittima, un’azione antigiuridica. Se la legge lo prevede, i magistrati devono tenerne conto sin dalle prime fasi del procedimento ma agli stessi, bisogna fornirgli adeguati ed inequivocabili strumenti che non consentano libere interpretazioni. Bisogna superare automatismi che, seppure mossi da logiche precauzionale, finiscono per ledere diritti fondamentali e professionali connessi alle funzioni e i doveri dei poliziotti e delle autorità di pubblica sicurezza, alimentando sfiducia in seno ai corpi di polizia e nei cittadini che non comprendono le dinamiche procedimentali della nostra giustizia, il cui effetto scoraggia l’assunzione di responsabilità in contesti pericolosi in cui ai poliziotti sono richieste lucidità e immediatezza della decisione, aspetti che necessitano di comprensione e solidarietà istituzionale. Risolvere detta tematica rafforzerebbe il patto tra lo Stato e chi lo rappresenta. Non si tratta di alzare scudi corporativi, ma di inserire nell’architettura giuridica norme che tengano conto della realtà, e distinguano tra chi agisce legittimamente e chi abusa del proprio ruolo, senza lasciare che sia l’automatismo burocratico giudiziario a stabilirlo. Il Governo e il Parlamento, nell’ambito della più ampia riforma della giustizia, hanno la possibilità di affrontare e risolvere l’annosa criticità. La questione, tra l’altro è connessa all’evoluzione della civiltà giuridica che deve tener conto della mutata realtà, attraverso un esercizio concreto di equità istituzionale e fiducia in chi esercita pubbliche funzioni, specie quando si è dotati di delicati poteri e armamento, come nel caso dei poliziotti. Uno Stato che non protegge chi è preposto alla sua tutela, indebolisce sé stesso e la sua credibilità.


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