Esteri

Polveriera lacerata da appetiti interni ed esterni

di Ernesto Ferrante -

LIBIA TRIPOLI


La Libia è una polveriera territorialmente divisa fra due governi rivali. La situazione resta instabile e manca una vera strategia multidimensionale che possa condurre il Paese ad elezioni libere, pacifiche e democratiche. Le ultime consultazioni nazionali risalgono al 2014. Gli interessi e gli appetiti dei vari attori stranieri interessati creano continuamente nuovi fronti di scontro locali.
La capitale Tripoli ed il nord ovest del paese sono controllati dal Governo di unità nazionale. Il governo di Tripoli è riconosciuto a livello internazionale e occupa il seggio della Libia alle Nazioni Unite e all’Unione africana, ma è lacerato al suo interno. Il primo ministro Abdul Hamid Dbeibah è un “pontiere” poco carismatico scelto per mantenere gli equilibri tra le milizie islamiste di Tripoli e Misurata e gli interessi economici delle reti clientelari dell’ovest.
L’est del paese e la fascia centrale, formalmente sotto il controllo della Camera dei Rappresentanti e del governo parallelo guidato da Fathi Bashagha, sono di fatto governati dal generale Khalifa Haftar. Il governo “tripolino” gode dell’appoggio militare della Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Haftar può contare invece sul sostegno di Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti.
Qualcuno, semplificando, parla di un conflitto di matrice islamista interno a Misurata, data la provenienza sia di Bashagha che di Dbeibah. Lo stesso Esercito nazionale libico dell’autoritario generale può annoverare diversi battaglioni salafiti.
La Libia è un “petrostato”, se si considera che nel 2021 i proventi dell’oro nero hanno rappresentato il 98% delle entrate pubbliche, secondo dati forniti dalla Banca centrale della Libia. Le autorità di Tripoli controllano la compagnia petrolifera nazionale, la National Oil Corporation (Noc), e la Banca centrale, e incassano tutti i proventi della produzione di idrocarburi. I tentacoli delle forze di Haftar si allungano sull’intera “mezzaluna del petrolio” nell’est e sui cinque porti petroliferi di Es Sider, Ras Lanuf, Zueitina, Hariga e Brega.
Haftar non può vendere il petrolio direttamente sui mercati internazionali ma può bloccare fino a tre quarti della produzione e delle esportazioni come ha già fatto più volte per ricattare il governo di Tripoli e costringerlo a riconoscergli una fetta abbondante della torta. Solidi anche i legami con gli Emirati Arabi Uniti, che hanno favorito l’ascesa di Farhat Bengdara al vertice della Noc nel luglio 2022.
Negli ultimi anni di Gheddafi, la Libia produceva 1,6 milioni di barili di petrolio al giorno. La produzione attuale si attesta invece intorno agli 1,2 milioni di barili. Dal 2004 esporta anche gas all’Italia attraverso il gasdotto GreenStream, di proprietà di Eni e Noc. La maggior parte della produzione di gas libico tuttavia è destinata al mercato domestico per produrre elettricità e alimentare le raffinerie di petrolio e l’industria dei fertilizzanti. L’Eni rimane la prima compagnia internazionale per investimenti.
La stabilizzazione è priorità strategica non solo per l’Italia ma per gran parte dell’Europa. Con le faide intestine non può esserci una gestione efficace dei flussi migratori e la necessaria sicurezza che possa garantire approvvigionamenti energetici regolari. Solo con un governo legittimato e coeso, potrebbe essere condotta una guerra a tutto campo per debellare le organizzazioni criminali che dissanguano tanti territori.

Quella del ritorno alle urne con le necessarie garanzie è l’unica ricetta per restituire dignità e valore ad un processo politico partecipato in cui i cittadini non credono più. Anche se c’è da vincere la resistenza dei “capi” interni e delle potenze straniere che puntano a posticiparla ulteriormente per consolidare nel frattempo il rispettivo potere politico e le reti affaristiche costruite.

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