Primo Piano

Pornoaccuse a Trump

di Rita Cavallaro -


Il Tycoon dichiara guerra alla giustizia americana e lo fa con una chiamata alle armi sui social. Il vecchio Donald Trump è tornato in tutto il suo splendore, rispolverando lo spirito eversivo che il 6 gennaio 2021 portò i suoi sostenitori all’insurrezione violenta a Capitol Hill. Due anni in cui di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, tra le perquisizioni a Mar-a-Lago e l’incessante lavoro dei procuratori di vari Stati per cercare in tutti i modi di incriminare l’ex presidente americano. Che fino ad oggi ha fatto orecchie da mercante, tentando di non cedere alle provocazioni in una fase per lui molto delicata, visto che il Tycoon vuole correre per le presidenziali 2024 ma deve fare i conti con una resistenza interna al suo stesso Partito Repubblicano, dove il governatore della Florida Ron DeSantis, da fedele “delfino” di Trump, ha spezzato le “catene”, annunciando la sua candidatura alle presidenziali e come un moderno Spartaco ribelle è già in campagna elettorale, diventando di fatto l’avversario numero due di The Donald, favorito comunque nei sondaggi. Il nemico numero uno, invece, sono le Procure americane. Prima tra tutte quella di New York, che sarebbe prossima a spiccare un mandato d’arresto nei suoi confronti.

PORNOACCUSE

Il procuratore distrettuale di Manhattan, Alvin Bragg, ha difatti presentato al gran giurì le prove di un pagamento di 130mila dollari a favore della pornostar Stormy Daniels, il cui vero nome è Stephanie Clifford. Secondo l’accusa, che indaga sui presunti fondi illegali di Trump, si tratta di una grossa somma di denaro sporco che il Tycoon avrebbe versato alla professionista del porno negli ultimi giorni della campagna per le presidenziali del 2016, in cambio del silenzio della donna su una presunta relazione tra lei e l’aspirante presidente. Quest’ultimo non solo ha negato l’esistenza del rapporto con la pornostar ma, tramite il suo avvocato, ha parlato di estorsione. Ovviamente il procuratore non crede a una sola parola e ha reclutato tra i teste dell’accusa l’ex faccendiere di Donald, Michael Cohen. Fu lui ad aver pagato materialmente i 130mila dollari alla pornostar per insabbiare il caso. Cohen sarebbe stato poi rimborsato da Trump quando il repubblicano arrivò alla Casa Bianca. Il testimone ha confessato che il Tycoon sapeva tutto e che il rimborso dei 130mila euro sarebbe avvenuto mensilmente, con finti pagamenti per spese legali inesistenti, in violazione delle norme sul finanziamento delle campagne elettorali. Il teste chiave e i documenti dei pagamenti finiti al gran giurì potrebbero ora essere sufficienti per ottenere l’incriminazione di Trump. E lui lo sa. Per questo venerdì scorso ha lanciato la sua offensiva dalla piattaforma privata Truth, informando i suoi sostenitori che oggi stesso potrebbe essere arrestato. Così da domenica, davanti alla residenza dell’ex presidente a Mar-a-Lago, si sono radunate decine di persone, con cartelli e bandiere, in attesa che martedì mattina venga eseguito il presunto mandato di cattura dalla polizia della Florida. Al momento l’appello eversivo di The Donald non sembra aver avuto la presa sperata sul suo elettorato, ma gli investigatori tengono alta l’attenzione nella zona, dove è stato previsto un piano d’emergenza coordinato dall’Fbi e dall’Antiterrorismo. Rumors dicono che, a questo punto, l’incriminazione potrebbe slittare, ma non è escluso che in molti possano convogliare davanti alla casa nelle ultime ore.

I FASCICOLI

Ore decisive non solo per l’inchiesta di New York, ma anche per l’indagine di Atlanta, dove la procura sta valutando se contestare al Tycoon i reati di estorsione e cospirazione, per gli sforzi dell’allora presidente di ribaltare l’esito delle elezioni in quello Stato nel 2014. Il procuratore avrebbe presentato a un gran giurì speciale una grande mole di prove sostanziali, in grado di dimostrare una possibile cospirazione all’interno e all’esterno dello Stato, comprese registrazioni di telefonate, mail, sms, documenti e testimonianze. Il rapporto finale è ancora riservato, ma secondo indiscrezioni sono state raccomandate incriminazioni per almeno dieci persone. C’è poi l’altro filone a New York, che contesta a Trump di aver mentito a banche e assicurazioni, gonfiando il valore dei suoi asset di miliardi di dollari. L’obiettivo è vietare all’ex presidente e ai tre figli Donald Jr, Eric e Ivanka la guida di qualsiasi azienda della Grande Mela. Ancora: le carte riservate trovate dall’Fbi in una perquisizione a Mar-a-Lago. Il Dipartimento di Giustizia ha nominato il procuratore speciale Jack Smith per condurre l’indagine penale su come Trump ha gestito i documenti classificati una volta uscito dalla Casa Bianca. E infine Capitol Hill, la commissione di indagine sull’assalto al Congresso, la quale ha concluso che Trump e i suoi hanno partecipato a un piano per capovolgere le elezioni del 2020. Il procuratore speciale Smith sta conducendo la sua indagine sui presunti tentativi di Trump di capovolgere l’esito del voto.

LE CONSEGUENZE

Insomma, un assalto all’Ok Corral per fermare, da più fronti, la corsa alle presidenziali Usa per via giudiziaria. Non senza conseguenze, però. Perché, qualora venisse incriminato, Trump diventerebbe il primo ex presidente degli Stati Uniti a essere perseguito penalmente. Senza contare che un eventuale processo a suo carico a New York, dato il calendario delle udienze, non potrebbe aver luogo prima di un anno. Ciò significa che il dibattimento che vedrebbe The Donald sedere alla sbarra, andrebbe in scena negli ultimi mesi della campagna elettorale o, ancora peggio, subito dopo le elezioni. E, in caso di vittoria di Trump, per la prima volta nella storia, il numero uno degli Stati Uniti sarebbe sotto processo per le accuse di un singolo Stato.

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