Economia

Portosino

di Giovanni Vasso -


Se l’Italia non va alla Cina, la Cina andrà in Italia. Via Amburgo. Uno smacco per coloro che si opponevano alla Via della Seta, il memorandum sottoscritto nel 2019 a Shangai tra le autorità cinesi e l’allora premier italiano Giuseppe Conte, insieme al suo ex ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Al tempo esultarono quando Hhla, Hamburger Hafen und Logistik Ag, la partecipata che controlla il porto anseatico e tedesco per eccellenza, cioè quello di Amburgo, ha proceduto all’acquisizione del 50% circa del capitale sociale di Piattaforma logistica Trieste, che opera nel porto del capoluogo giuliano. Adesso i cinesi, che pure avevano puntato su Trieste e Genova per la strategia economica e commerciale globale della Via della Seta, acquistano direttamente Hhla, o meglio una quota, seppur rilevante, della società che controlla tre terminal nel secondo scalo portuale più grande d’Europa. Certo, si tratta di China Ocean Shipping Company (Cosco) e non di Cccc, China Communications Construction Company, che aveva messo nel mirino gli scali portuali per mettere a punto la strategia globale cinese. Ma il risultato, secondo tanti osservatori, è sostanzialmente lo stesso. La Cina entra (o meglio sarebbe dire si consolida) in Europa. Entrando così, indirettamente, anche nella partita italiana e, nello specifico, in quella triestina.
La vicenda si trascina ormai da mesi, tra annunci che, solo nelle ultime settimane, hanno scatenato un pandemonio internazionale dal momento che gli Stati Uniti hanno dato inequivocabili segnali di fastidio per le nuove alleanze tra Berlino e Pechino. Del resto, già da tempo si parla dei rapporti tra l’Europa e la Cina con pudore e c’è chi, su un altro campo decisivo come quello inerente l’energia alternativa, afferma che il Vecchio Continente ha già accettato la “sudditanza” nei confronti della tecnologia asiatica. Il ministro delle imprese Adolfo Urso ha affermato che “non ci consegneremo nelle mani dei cinesi” e che “se i tedeschi intendono fare quello che hanno annunciato, certamente noi che siamo più consapevoli delle mire della Cina sulle infrastrutture strategiche come i porti, non li seguiremo perché siamo la frontiera del Mediterraneo”. La questione relativa ai porti è solo una delle grandi tematiche che, dall’Europa all’Italia, ci lega alla Cina. Cosco è già entrata nel porto di Vado Ligure, essendo azionista al 40% di Vado Terminal, mentre – dopo un iniziale impegno da protagonista nell’ottica della strategia mediterranea cinese – ha abbandonato nel 2016 il porto di Napoli, che pure sembrava centrale nelle grandi manovre immaginate da Pechino. Inoltre la cinese Weichai, per il tramite della controllata Ferretti Yachts, ha ottenuto, tramite un accordo di programma siglato col Comune di Taranto a luglio scorso, la gestione dell’area ex yard Belleli all’interno del porto di Taranto che, considerato il ruolo della Grecia e specialmente del porto del Pireo, prima e più significativa testa di ponte cinese nel Mediterraneo, diventa strategico nell’ambito del progetto della Belt and Road Iniziative. Che, però, passa per Trieste dal momento che i cinesi hanno individuato l’area della Mitteleuropa come centrale per lo sviluppo dei commerci sino-europei. E, così come accadeva ai tempi della corona imperiale e regia di Austria e Ungheria, lo scalo giuliano ritrova una centralità che sembrava perduta. Lo stesso ministro Urso, però, non esclude che il governo possa utilizzare la golden share. Si ripeterebbe, ma più amplificato, un nuovo caso Palermo. Dove, alcune controllate di Cosco avrebbero presentato un progetto di rilancio e allargamento del porto poi “congelato” dal ministero della Difesa.


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