Primo Piano

“Positivo il dialogo con la Cina ma l’asse resta con l’Occidente”

di Edoardo Sirignano -

STEFANIA CRAXI POLITICO


“Coinvolgere la Cina in una futura mediazione è positivo. Cosa diversa è pensare che l’Europa possa essere altro rispetto all’Occidente”. A dirlo Stefania Craxi, presidente della commissione Esteri del Senato.
Cosa ne pensa del piano di pace proposto dalla Cina?
“I 12 punti del piano cinese altro non sono che la rappresentazione degli interessi politici ed economici di Pechino. Del resto, era necessario un espediente mediatico alla vigilia del recente incontro tra Xi Jinping e Putin, qualcosa che potesse servireanche alle rispettive propagande. Per il Cremlino è stata un’ulteriore occasione per accreditare impropriamente la tesi secondo cui sono altri a non volere la pace, mentre Pechino aveva l’esigenza di inviare un messaggio ben preciso all’Occidente e alla leadership statunitense. Ricordiamoci che sullo sfondo c’è sempre la questione Taiwan”.
Nel merito, cosa non la convince?
“Se guardiamo agli equivoci contenuti in ciascun punto, a parte il condivisibile richiamo alla riduzione dei rischi strategici nucleari, alla messa in sicurezza delle centrali, all’esigenza di dare risposte alla crisi umanitaria, il piano risponde ai soli interessi di Mosca. Sanno bene che un cessate il fuoco senza il ritiro delle truppe, senza un minimo accordo preventivo su una possibile futura base negoziale, non è praticabile e accettabile dal popolo ucraino, non solo perché di fatto avallerebbe preventivamente la sovranità russa sui territori occupati, ma anche perché darebbe a Mosca il tempo di riorganizzarsi militarmente”.
La guerra può davvero finire?
“Mi auguro che finisca presto, ma non mi illudo. È in corso una guerra di logoramento e gli scontri in atto, penso all’esito della battaglia di Bakhmut, non cambieranno i destini del conflitto, visto che nel Donetsk i russi si troverebbero altre linee di difesa ucraine. Una vittoria di Mosca porterebbe solo ad altri mesi di massacri. Per questo, sono convinta che non servano scorciatoie ed equivoci per una pace giusta”.
La Von der Leyen si rende conto che Pechino non è il nemico assoluto. È un segnale?
“Coinvolgere la Cina in una futura mediazione, considerata la forte influenza su Putin per ragioni innanzitutto di crescente dipendenza economica, è positivo. È una prospettiva che, come Italia, auspichiamo da tempo come più volte sottolineato anche dal ministro Tajani. Cosa diversa è pensare che l’Europa possa essere “altro” rispetto all’Occidente, un attore terzo. Con la nostra autonomia, portando al tavolo della discussione la nostra sensibilità e i nostri interessi, l’alleanza tra le due sponde dell’Atlantico non può essere in discussione”.
Quanto è importante avere rapporti con l’Asia?
“È fondamentale, per una molteplicità di ragioni. L’Asia, però, non è solo la Cina, né tanto meno essa è egemone e rappresentativa di una realtà composita. Si tratta di un continente vasto, immenso, diverso per culture e alleanze, con potenze tradizionali e nascenti. Tralasciando i Paesi storicamente alleati dell’Occidente, abbiamo il dovere di coltivare e costruire con il composito mondo asiatico relazioni intense a più livelli. Se l’Europa ritrova le ragioni del suo essere, può farsi attore e non figurante anche in questo quadrante”.
L’Italia può riprendersi il ruolo di mediatore che ha sempre avuto nella Prima Repubblica?
“L’Italia della prima Repubblica ha svolto nel mondo mediorientale e mediterraneo un ruolo di mediatore, avendo anche una certa libertà di manovra, perché aveva ben chiaro quale fosse il campo di gioco, l’orizzonte naturale delle sue alleanze che sono innanzitutto culturali e valoriali. Libertà e democrazia sono connaturate all’idea stessa di Occidente. Oggi, invece, vedo vecchi e nuovi presunti pacifisti, alcuni dei quali ai tempi della cortina di ferro sfilavano nelle marce della pace finanziate da Mosca, in preda ad una certa confusione, la stessa che ben prima del conflitto russo-ucraino ha rischiato di portare l’Italia su binari discordanti rispetto ai nostri valori guida. Invocano autonomia, ma non si capisce da cosa e da chi, salvo poi scoprirsi dalla parte delle autocrazie, dei regimi illiberali. Loro, che predicano di diritti, sembrano dimenticare quelli del popolo ucraino!”.
La piazza chiede all’Italia di rivedere le proprie posizioni nei confronti di Zelensky. Può cambiare la posizione nazionale sugli armamenti?
“Quale piazza? Rappresentativa di chi e di cosa? Ricordo che la maggioranza degli italiani, nelle ultime elezioni politiche ha espresso la preferenza per forze politiche, di maggioranza e di opposizione, che sul conflitto hanno una posizione ben chiara.Non sosteniamo Zelensky per simpatia, ma sosteniamo la causa del popolo ucraino, le ragioni del diritto internazionale e l’autodeterminazione dei popoli”.
Trovare una rapida soluzione sulla guerra vuol dire anche spingere un’economia, surclassata dalla crisi delle banche.
“Non mettiamo insieme tutto e il contrario. Siamo in una nuova fase, in cui le ragioni della politica ritornano ad essere sovraordinate a quelle dell’economia e della finanza. Il nodo della crescita, in Italia e in Europa, è un tema che precede tanto il conflitto in atto quanto la stessa pandemia, e si affronta cambiando alla radice alcuni criteri astrusi, partendo proprio dal Patto di stabilità e crescita, le cui nuove regole sono ben lontane dal vedere la luce. Quanto allo spettro di nuova crisi bancaria, sarebbe opportuno intervenire sul tema dell’Unione bancaria, il cui completamento si è arrestato di fronte al rifiuto tedesco per una copertura assicurativa comune dei depositi bancari”.

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