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Economia

La povertà che fa paura all’Europa che ha perso la bussola

Aumentano i rischi di indigenza soprattutto al Sud che sta crescendo: gli effetti di anni di rigore e riforme?

di Giovanni Vasso -


La povertà, in casa nostra, fa paura; epperò è il caso di capirsi: casa nostra, ormai, è l’Europa. Perciò, per comprendere i dati legati all’incidenza della povertà in Italia è necessario comprendere cosa sta accadendo anche nel resto del Continente. E, di certo, non perché mal comune sia necessariamente mezzo gaudio, ma per capire che, con una certa classe dirigente alla guida (anche) dell’Ue si sta andando a sbattere.

Cominciando dal nostro appartamentino, in Italia il rischio povertà è sostanzialmente stabile rispetto al 2023. La fotografia Istat è impietosa. L’identikit di chi è maggiormente in pericolo è, più o meno, sempre lo stesso: famiglie operaie monoreddito, magari numerose, residenti al Sud. La percentuale delle famiglie che vivono in povertà assoluta, nel Mezzogiorno, supera il dieci per cento. L’incidenza della povertà per le famiglie operaie sale al 15,6%. Il 13,8 per cento di tutti i minori che vivono in Italia si trovano in condizioni di indigenza. In termini assoluti, però, il maggior numero di famiglie povere vive nel Nord ma l’incidenza non è così alta come nel Sud. Dove, del resto, le famiglie assolutamente povere sono pure aumentate in termini percentuali: il 39,8% di queste vive nel Mezzogiorno (nel 2023 il dato si fermava al 38,7%). La beffa è che al Nord il dato scende (passa dal 45% al 44,5%) così come al Centro (15,7% dal 16,2%). Fin qui i numeri, poi ci sono i (soliti) problemi. Salari che restano bassi, paghe invisibili e famiglie numerose che non possono far fronte agli impegni. E poi dice che l’Italia non fa più figli. Finché gli stipendi resteranno questi, c’è poco da sperare in un boom demografico. E nemmeno agli stranieri, quelli che avrebbero dovuto sostenere l’ondata demografica, va chissà quanto meglio. Anzi, sono proprio le famiglie degli immigrati quelle che versano in condizioni di maggiore difficoltà. A testimonianza del fatto che se ci sono dei lavori che gli italiani non vogliono fare più è (anche) perché chi li offre li paga, davvero, troppo poco. Ancora più tremendi, poi, sono i dati del Cnel. Secondo cui l’incidenza del rischio povertà in Italia è pari al 23,1%, due punti superiore alla media Ue. E ciò perché, solo nel Sud, il pericolo esclusione sociale coinvolge il 39% dei cittadini. Quattro residenti su dieci. Il 68 per cento dei circa 1,8 milioni di beneficiari dell’assegno di inclusione (che ha sostituito il reddito di cittadinanza) risiede nel Mezzogiorno. La relazione del Cnel punta un faro sulla disoccupazione giovanile e femminile, sul basso livello d’istruzione e, di nuovo, sugli immigrati.   Nel resto d’Europa, sul fronte povertà non è che vada granché meglio. La Germania ha sperimentato un inquietante livello di impoverimento dei suoi pensionati. Al punto che, adesso, il governo pensa a detassare del tutto gli assegni entro i duemila euro. Nella ruggente Spagna, il 19,5% dei pensionati rischia di finire in povertà e 4,1 milioni di cittadini sono in pericolo. In Francia, i numeri sono più o meno simili a quelli italiani, con dinamiche che si rassomigliano. I poveri, in senso assoluto, sono 5,7 milioni (tanti quanti in Italia) e il rischio incombe soprattutto su giovani e stranieri. Fa riflettere, invece, il caso olandese. Nel 2022, nei Paesi Bassi c’è stato un netto calo dei poveri, passati da 820mila a 540mila (su una popolazione di poco inferiore ai 18 milioni). Quale è stata la ricetta di questo grande successo economico? Semplice, è bastato cambiare la definizione di povertà, parametri e standard, per far rientrare i conti: il trionfo del burocratese sulla realtà, un po’ la cifra di un modo di fare a cui ci ha abituato una certa Europa.  È (pure) una questione di modelli, di scelte e di input. Quelli che s’è dati il Vecchio Continente, ieri e oggi, improntati al rigore dei conti, alle riforme che impoveriscono, all’acquisto di nuove armi, non sembrano andare nella direzione giusta. I fatti hanno la testa dura, i numeri parlano. I poveri restano lì anche se gli indicatori di crescita salgono. È una questione di redistribuzione della ricchezza. Ma oggi, certe cose, non si possono più nemmeno nominare. Persino nella patria (un tempo) del welfare state.


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