Premier time, Meloni annuncia “spese per la difesa al 2% nel 2025”
Riforme, legge elettorale, difesa, sicurezza, migranti, sanità, energia, violenza sulle donne: tutti argomenti affrontati ieri nell’Aula del Senato in occasione del premier time. Incalzata dalle domande dei senatori, in particolare da quelle formulate dagli esponenti dei gruppi parlamentari di opposizione, come ovvio, Giorgia Meloni si è dovuta districare praticamente su quasi tutte le tematiche all’ordine del giorno dell’agenda di governo. Come da regolamento, ciascun gruppo ha potuto rivolgere alla presidente del Consiglio solamente una domanda, per poi replicare una volta ascoltata la relativa risposta della premier. A prendere la parola sono quindi stati i capigruppo o i leader dei partiti, come nel caso di Matteo Renzi e Carla Calenda. Proprio il leader di Azione ha toccato uno dei punti più importanti non solo del premier time a Palazzo Madama, ma del dibattito sia interno che internazionale che agita da mesi la politica, quello relativo alla spesa per la difesa. Per Calenda c’è “una grande confusione su un argomento su cui non ci può essere confusione: è quello della difesa e della sicurezza nazionale”, rispetto al quale, ha aggiunto occorre “una parola chiara” del governo. In tal caso, si è sbottonato, “perché è un superiore interesse della nazione”. Musica per le orecchie di Giorgia Meloni che nel rispondere all’interrogazione ha proferito la parola chiave chiesta da Azione. “L’Italia finalmente raggiungerà il target delle spese militari al 2% del Pil nel 2025”, ha annunciato prima di ricordare come sia il Paese che l’Ue “devono rafforzare le proprie capacità difensive per rispondere alle responsabilità cui sono chiamate anche in ambito Nato”. Rivolgendosi all’intera Aula del Senato, Giorgia Meloni ha poi rivendicato “la coerenza di chi da patriota ha sempre sostenuto un principio semplice, cioè che libertà ha un prezzo e se fai pagare a un altro la tua sicurezza non sei tu a decidere pienamente del tuo destino e non c’è la possibilità stessa di difendere appieno i propri interessi nazionali”. Sul punto, ma anche ricicciando il dossier energia e in particolare l’eventuale incremento dell’acquisto di gas naturale dagli Usa, Pd e Alleanza Verdi e Sinistra hanno in sostanza accusato la premier di essere succube di Donald Trump. Accuse che Giorgia Meloni rispedisce al mittente definendo quello con l’attuale amministrazione americana come un “rapporto di lealtà, ma non di subalternità”.
Nel rivendicare, incalzata dalle domande dei senatori, quelli che ha presentato come successi del governo, dai centri per i rimpatri degli immigrati irregolari realizzati in Albania, ai passi avanti sotto il profilo normativo per il contrasto della violenza di genere, Giorgia Meloni ha poi toccato il tema della sanità e la questione delle liste d’attesa rivolgendo, su quest’ultimo punto un appello alla Regioni. Il riferimento alle responsabilità delle autonomie ha scatenato le reazioni al vetriolo di Pd e Movimento 5 Stelle che hanno accusato la presidente del Consiglio di fare il “solito scaricabarile”.
Ma il botta e risposta più esilarante è stato, neanche a dirlo, quello che la premier ha avuto con Matteo Renzi. Sfoderando le sue indiscutibili doti oratorie, il numero uno di Italia Viva, intento più a fare un comizio che a rivolgere domande, ha toccato punti di strettissima attualità, come il Premierato, la riforma della Giustizia e la nuova elegge elettorale alla quale lavora la maggioranza. In pratica Renzi ha chiesto se il governo ha intenzione di dimettersi in caso di un esito sfavorevole dei referendum che si celebreranno una volta approvate le riforme e la posizione della premier sulla reintroduzione delle preferenze in sostituzione delle liste bloccate. Su quest’ultimo punto la Meloni si è detta assolutamente favorevole, mentre a proposito dei referendum ha assicurato: “non farò mai niente che abbia già fatto lei”.
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