La maggioranza non osa sulle presidenze delle commissioni parlamentari
Nessuno sconvolgimento alla guida delle commissioni parlamentari permanenti, ieri riunite per rinnovare i propri vertici con qualche mese di ritardo rispetto al giro di boa di metà legislatura. Tutti i presidenti degli organismi in questione, 14 alla Camera e 10 al Senato, sono stati riconfermati smentendo chi prevedeva qualche sorpresa. I nomi finiti sulla graticola nelle ultime settimane, per motivi assolutamente differenti, erano tre: Giuseppe Mangialavori e Federico Mollicone, rispettivamente alla guida della commissione Bilancio e di quella Cultura a Montecitorio, e Alberto Balboni, presidente della Affari costituzionali a Palazzo Madama. Partiamo da quest’ultimo.
In realtà la poltrona dell’esponente di Fratelli d’Italia non ha mai traballato
Il suo incarico è stato messo in discussione esclusivamente dall’opposizione in conseguenza alle forti polemiche seguite all’esame del decreto sicurezza al Senato, sia per la gestione del provvedimento in commissione che per l’attacco rivolto in aula da Balboni ai partiti di minoranza, accusati di stare con la criminalità organizzata. Alla prova del voto per il rinnovo della presidenza della commissione i voti della maggioranza sono però stati più che sufficienti per una riconferma, mentre le opposizioni, nel solco delle proteste, hanno sostenuto il presidente del gruppo Misto, eletto nelle liste di Alleanza Verdi e Sinistra, Peppe De Cristofaro.
Per Federico Mollicone si era, invece, ipotizzato un posto come sottosegretario al ministero della Cultura, quello lasciato vacante da Vittorio Sgarbi
Alla fine, la volontà di non toccare le caselle del governo ancora vacanti ha prevalso e non se ne è fatto nulla, dunque, anche lui è rimasto dov’era.
Diverso il caso di Giuseppe Mangialavori
Innanzitutto perché seduto sulla poltrona più pesante e ambita – la più alta della commissione che valuta e gestisce lo stanziamento delle risorse previste dai vari provvedimenti, su tutti la Manovra -, in secondo luogo perché l’azzurro era stato messo nel mirino della stessa maggioranza, addirittura in quello del suo partito. Nei corridoi della Camera si vocifera di qualche assenza di troppo, di una gestione della commissione Bilancio che in diverse occasioni ha causato frizioni anche con gli alleati e della volontà di Forza Italia di rimpiazzarlo con qualcuno più vicino al segretario del partito, tanto che il totonomi era iniziato già da tempo. Alla fine però, come ci ha spiegato un esponente del governo, a prevalere è stata “la volontà di non toccare nulla delle presidenze delle commissioni parlamentari, perché ogni modifica avrebbe potuto aprire le porte ad altri cambiamenti e, quindi, a un braccio di ferro in maggioranza e nei singoli partiti”.
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