Economia

Tassi su, prestiti giù: aziende in ginocchio

di Giovanni Vasso -

NUOVA SEDE UBI BANCA VIA NAZIONALE CONSULENZA FILIALE SPORTELLO


I prestiti mettono in ginocchio le aziende. I conti di Unimpresa non lasciano scampo: nel breve volgere di un anno, da gennaio ’23 a gennaio ’24, le sofferenze bancarie per le imprese sono salite del 7%. Detta in soldoni, è proprio il caso di dirlo, sono salite da 17,3 miliardi a diciotto miliardi. Un segnale che, per Unimpresa, è inquietante. E si lega, a nodo doppio, con la politica monetaria della Bce che, alzando i tassi e tenendoli alti, sta paralizzando le imprese che, dotate di sempre meno liquidità, trovano ormai insostenibile il costo del denaro. “Continuiamo a chiedere con incessante preoccupazione che la politica monetaria sia immediatamente rivista – tuona in una nota il vicepresidente Unimpresa Giuseppe Spadafora -. La Bce ha fatto più danni che altro e i governi dell’area euro sono rimasti in silenzio troppo a lungo”.

I conti sono presto fatti. I numeri sono inquietanti. Per Unimpresa i prestiti alle imprese e alle famiglie sono crollati di 43 miliardi, a un ritmo superiore a 3 miliardi al mese. Contestualmente,  sono salite di oltre il 16% le sofferenze nette degli istituti di credito. In calo i mutui, con una discesa di quasi 3 miliardi (-0,64%), e scendono anche i prestiti personali, in diminuzione di oltre 14 miliardi (-10%); mentre continua a salire il credito al consumo, che ha registrato una variazione positiva vicina ai 5 miliardi (+4%). Insomma, siamo dentro il credit crunch, cioè la sostanziale inaccessibilità al credito, ai finanziamenti, ai mutui. Col rischio di paralisi per tutta l’economia. Spadafora tuona: “Se le imprese faticano a onorare le scadenza con i prestiti bancari vuol dire che la qualità del credito è già peggiorata e che la gestione degli indebitamenti finanziari sta scricchiolando in maniera preoccupante. E poi ci sono i mutui, anzi non ci sono più perché lo stock sta progressivamente calando: del resto per le famiglie indebitarsi è diventato proibitivo e così per il mercato immobiliare è allarme rosso”.

Il Centro Studi di Unimpresa ha elaborato i dati statistici della Banca d’Italia. Al netto delle cartolarizzazioni, “gli impieghi delle banche ai privati sono crollati di 49,1 miliardi (-3,25%), calando dai 1.325,9 miliardi di gennaio 2023 ai 1.282,9 miliardi di gennaio 2024”. Ma non basta: “I prestiti destinati alle aziende sono passati dai 645,4 miliardi di gennaio 2023 ai 614,6 miliardi di gennaio scorso, con una diminuzione di 30,8 miliardi (-4,77%)”, fanno sapere gli analisti di Unimpresa. Che rivelano: “Sono fortemente diminuiti sia i finanziamenti a breve termine (fino a 1 anno di durata), passati da 144,4 miliardi a 138,5 miliardi in calo di 5,9 miliardi (-4,10%), sia quelli di lungo periodo (con scadenza superiori a 5 anni), passati da 345,4 miliardi a 320,7 miliardi in discesa di 24,7 miliardi (-7,16%). Fermo il credito di medio periodo (fino a 5 anni), calato di soli 153 milioni (-0,10%) da 155,5 miliardi a 155,3 miliardi”. Non va meglio, per niente, alle famiglie. Il calo del credito ai cittadini, in dodici mesi, s’è depresso e ha perduto 12,2 miliardi passando da 680,5 miliardi a 668,3 miliardi. Se i prestiti personali sono crollati, il credito al consumo si impone come unica strategia utile per accedere a risorse finanziarie: “L’aumento è di 4,8 miliardi (+4,20%), da 116,1 miliardi a 120,9 miliardi”. Sale, sì. Ma con lentezza. E non riesce certo a compensare il calo della liquidità. Anche perché, per quanto riguarda i mutui, secondo Unimpresa “lo stock che è passato da 426,2 miliardi a 423,5 miliardi con una variazione negativa di 2,7 miliardi in 12 mesi (-0,64%)”. Ed è un problema. Per tutti. “La caduta dei prestiti per la casa comporta ricadute su molti altri comparti, non solo per quanto riguarda le compravendite di immobili, ma anche per settori come l’edilizia, la produzione e vendita di mobili e arredamenti, i trasporti e altri servizi connessi”. Insomma, con i prestiti fermi per le aziende e per le famiglie, l’economia si ferma. Ecco gli effetti veri, reali, tangibili della politica ideologica dell’inflazione al 2% perseguita, con rigore inusitato, dagli economisti della Bce.


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