Un tracollo così non si vedeva da anni: il prezzo del petrolio sfonda (al contrario) la quota dei 60 dollari al barile e, dopo la scelta dell’Opec+ di aumentarne la produzione, continua senz’arrestarsi la marcia verso il basso. La quotazione del brent è scesa, ieri mattina, a 59,44 dollari. A pesare è stata (anche) la decisione di otto Paesi dell’Opec+ di aumentare la produzione già a giugno: “In considerazione degli attuali fondamentali di mercato sani, come testimoniano le basse scorte di petrolio, e in conformità con la decisione concordata il 5 dicembre 2024 di avviare un ritorno graduale e flessibile degli aggiustamenti volontari di 2,2 milioni di barili al giorno a partire dal primo aprile 2025, gli otto Paesi partecipanti attueranno un aggiustamento della produzione di 411mila barili al giorno nel giugno 2025 a partire dal livello di produzione richiesto nel maggio 2025”. La questione non è per nulla banale. Perché la prima conseguenza della discesa dei prezzi sarà quello di provocare una sorta di blackout petrolifero per le aziende americane che lavorerebbero in perdita. Se si fermassero le trivelle si arriverebbe anche allo stop delle estrazioni per altri prodotti collegati, tra cui lo scisto e il gas. Con tutto ciò che ne deriverebbe sia a livello locale, negli States, sia a livello globale.
Tuttavia il calo del prezzo del petrolio ha rappresentato un preciso obiettivo di Donald Trump che aveva ingiunto proprio all’Opec e in particolare all’Arabia Saudita, scettica sull’aumento della produzione, di abbassare i costi. Secondo Bloomberg, la soglia da non oltrepassare prima che le imprese si fermino è quella dei 50 dollari al barile. L’abbrivio dei prezzi, però, sembra tracciato: siamo (già) sotto i 60 dollari, al bivio, o ci si stabilizza adesso oppure la discesa è solo all’inizio. L’unica certezza è che il mondo sta cambiando e che un nuovo ordine globale sta prendendo forma proprio in queste settimane.