“Prima i giapponesi”, l’ultradestra avanza alle elezioni
L'ascesa di Sanseito e del suo leader Kamiya azzoppa il premier Ishiba che si imbullona alla poltrona ma ora rischia grosso
“Prima i giapponesi”. Grosso guaio a Tokyo: avanza, anche in Oriente, la destra sovranista che conquista quattordici seggi e inguaia il premier Shigeru Ishiba. Che, da par suo, replica imbullonandosi alla seggiola da premier. Nonostante la perdita, ormai incontrovertibile, della maggioranza in Parlamento da parte del Partito liberaldemocratico, che in Giappone ha una lunghissima tradizione di governo che affonda le sue radici all’ormai lontano dopoguerra. Così lunga e apparentemente inscalfibile da far impallidire anche il solo ricordo della lunga avventura della Democrazia cristiana in Italia.
Piazze (virtuali) piene, urne piene
A guastare i piani di Ishiba, già in debito di ossigeno nei sondaggi, è stata la cavalcata trionfale (ma nemmeno troppo rispetto alle previsioni della vigilia…) di Sanseito. Si tratta di una formazione nata col Covid, sulle reti digitali, che ha presto iniziato a mietere, insieme a voti e consensi, anche polemiche e forti contestazioni da parte degli avversari politici, specialmente a sinistra. Un mix elettorale vincente che, con ogni evidenza, ha funzionato persino nel lontano Giappone. Sanseito ha portato alla Camera Alta ben quattordici parlamentari. Un risultato che porta il partito a essere il terzo in termini di rappresentanza tra quelli che si schierano all’opposizione dell’alleanza di governo, la grande sconfitta della tornata elettorale di domenica, dopo il Partito Democratico Costituzionale del Giappone (CDP) e il Partito Democratico del Popolo (DPP). Un ottimo risultato, dal punto di vista dei numeri e dell’affermazione. Non scontato ma, in fondo, monco. Perché le regole della Camera Alta impongono (almeno) venti parlamentari per poter presentare disegni di legge e iniziative.
“Prima i giapponesi”: stop stranieri e globalizzazione
La ricetta di Sanseito è quella che, già in Europa, ha dato ottimi risultati dal punto di vista dei consensi. I sovranisti giapponesi, già molto scettici sulla gestione della pandemia Covid, hanno rimarcato la loro contrarietà a concedere permessi di residenza agli stranieri e, tra le altre cose come riporta The Japan Times, avevano proposto di imporre una quota, non superiore al 5%, di gaijin per Comune. Le (furibonde) polemiche attorno all’overtourism, che hanno raggiunto anche l’Occidente, hanno fatto il resto. Sanseito, a differenza di quanto accade in Europa dove i partiti delle destre sono più forti nelle aree periferiche, ha riscosso clamorosi successi elettorali anche a Tokyo, Osaka e altrove.
Fra Trump e Farage, chi è Kamiya
Il leader del partito Sanseito si chiama Sohei Kamiya, ha 47 anni e un passato nel Partito liberaldemocratico. Da cui, come Farage ai suoi tempi coi Tories, si è distaccato criticando l’approccio troppo morbido alle questioni da parte dei leader. Una critica, questa, che si riferisce proprio al premier Shigeru Ishiba. Salito al governo dopo la morte violenza di Shinzo Abe, non è ritenuto abbastanza “duro” su diversi dossier, a cominciare dal rapporto con la Cina. Al centro della proposta politica c’è, chiaramente, una durissima critica alla globalizzazione e il timore che questa possa trasformare “il Giappone in una colonia”. Un richiamo, nemmeno troppo velato, al nazionalismo che, da sempre, è parte integrante della cultura politica nipponica. Come Trump, la sua retorica non lascia nulla all’immaginazione. Di recente, come riporta il quotidiano Mainichi, dopo un comizio a Osaka, Kamiya ha subito le proteste delle Ong coreane che lo accusavano di aver utilizzato la parola “chon”, un epiteto ritenuto, oltre che offensivo, anche dispregiativo dal punto di vista razziale proprio nei confronti degli abitanti della vicina penisola. Lui fa spallucce e continua: “Prima i giapponesi”.
I dolori del povero Ishiba
Il premier giapponese è assediato da ogni lato. La perdita della maggioranza è una iattura che ne complica, ancora di più, il cammino. Ishiba ha già dovuto incassare la mazzata rifilatagli da Trump coi dazi. Dopo una lunga, estenuante, trattativa ondivaga e altalenante, la prima lettera dalla Casa Bianca è giunta proprio a Tokyo. Con tariffe al 25%. Un fatto che Ishiba non esitò a bollare come “deplorevole” ma che ha costretto il Giappone a sedersi, ancora, a un tavolo per tentare di spuntare condizioni migliori. Ieri, gli elettori hanno fatto il resto. Servivano cinquanta seggi per confermare la maggioranza, gliene hanno dato – al suo partito e agli alleati di Komeito – solo 47. I numeri non gli danno scampo. La maggioranza, che ormai non esiste più, ha perso diciannove parlamentari alla Camera alta, le opposizioni ne hanno guadagnati 27. Tra questi, ben tredici in più ne ha presi proprio Sanseito. Ora Ishiba si ritrova, come già accadde solo un’altra volta nella storia del suo partito, nel 1955, ad aver perso la maggioranza in ognuna delle due camere del parlamento. Lui, dice, vuol continuare a governare e non mollerà perché c’è tanto da fare, ci sono i dazi e via dicendo. Ma la crisi è aperta e il suo destino è appeso a un filo.
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