Attualità

PRIMA PAGINA – Masterchef, ricchi e famosi solo i soliti noti

di Marina Cismondi -


Il prossimo 12 dicembre ripartirà la quattordicesima stagione del talent Masterchef, il notissimo programma per aspiranti cuochi che, dopo aver perso negli anni un dissacrante Bastianich ed un Cracco tornato ad occuparsi dei suoi disastrati bilanci societari, ripropone il collaudato trio di giudici delle edizioni passate. Ritroviamo il veterano Bruno Barbieri, presente fin dalla prima edizione, le cui Stelle Michelin sono ormai un lontano ricordo, troppo impegnato sui set dei programmi TV, come cacciatore di polvere ed acari in “Quattro Hotel”, od occupato a pubblicizzare panettoni, crociere ed i suoi amati “topper”.

Lo affianca dal 2015 Antonino Cannavacciuolo, anche lui star televisiva e pubblicitaria, fra i fornelli sgangherati e poco credibili di “Cucine da Incubo” e spot per pasta trafilata al bronzo o gomme da masticare, mietitore di Stelle Michelin ogniqualvolta inaugura un suo nuovo bistrot o un resort.
E sarà il settimo anno per Giorgio Locatelli, anche lui divenuto a pieno titolo personaggio televisivo con i talent “Maitre Chocolatier” e “Home Restaurant” e testimonial per pubblicità di branzini e di detersivi per lavastoviglie. Viene da chiedersi, presumendo non posseggano il dono dell’ubiquità, quanti giorni all’anno riescano ad essere al comando delle loro cucine, dove un menu con il loro timbro, sicuramente ben eseguito dalle loro brigate, necessita di un esborso di almeno 480 euro. Masterchef ha alimentato fra tanti giovani il sogno di entrare a far parte di queste brigate “stellate” e da lì partire per replicare i successi dei grandi chef.

Bellissimo sognare, ma qual è la realtà?
Carlo Cracco, in una sua intervista al quotidiano “Il Mattino”, dichiarò: “Non basta fare brevi stage un po’ ovunque, servono lunghi soggiorni per impossessarsi delle basi. In questo campo non esistono scorciatoie”. Alessandro Borghese, altro notissimo volto televisivo che vediamo da anni ed anni in ogni genere di trasmissione televisiva dedicata alla ristorazione, rincara la dose in un’intervista al Corriere della Sera: “Lavorare per imparare non significa per forza essere pagati. Io prestavo servizio sulle navi da crociera con soli vitto e alloggio riconosciuti. Stop”. Difatti gli “stage” non prevedono retribuzione, fatto salvo (e non sempre) un piccolo rimborso spese.

Ci deve quindi essere una famiglia che, dopo aver sostenuto i costi di tutto il percorso scolastico inclusi gli anni di istituto alberghiero, continui a farsi carico dello stagista.
Ma non tutti, come Borghese, hanno come mamma Barbara Bouchet e come papà un imprenditore.
“Se si riesce a resistere ai turni massacranti, che possono anche arrivare a superare le 70 ore di lavoro settimanale, può essere proposto un contratto di tirocinio o di apprendistato, anche ben al di sotto dei mille euro mensili, una paga fra i 3 ed i 4 euro l’ora. Perché lavorare in uno “stellato” fa curriculum, questa la motivazione che viene fornita per la misera busta paga. Sempre che il contratto venga fatto, dato che fra le cucine dove ho lavorato, sono mosche bianche quelle che hanno tutto il personale in regola. E si viene addestrati su cosa dichiarare in caso di un controllo dell’Ispettorato del Lavoro, controlli che, in più di dieci anni dietro ai fornelli, non ho mai visto” racconta un giovane chef in procinto di migrare all’estero dopo aver fatto “gavetta” in diverse cucine, stellate e non, del nord Italia.

“Ti formano e sembra di stare al militare e poi ti fai 200 persone al giorno, sicuramente una scuola incredibile, ma si entrava alle otto e si usciva all’una. Sono rimasta un anno e poi me ne sono andata, perché ero stravolta e non ce la facevo più.” conferma, in un’intervista rilasciata a Reporter Gourmet, una giovane chef del biellese, Erika Gotta, che nelle Langhe aveva lavorato a “La Ciau del Tornavento”, una stella Michelin. Quindi la crescita lavorativa dei futuri cuochi, ovviamente non in grado di mantenersi e lasciare la famiglia di origine, deve restare a carico dei genitori e non dei ristoratori che, pur formando, riempiono le loro cucine di manodopera gratuita o sottopagata.

Queste condizioni lavorative sono perlopiù ignorate dai mass-media, che invece riservano gran risalto ai ristoratori che accusano i giovani di non aver voglia di lavorare e lamentano l’impossibilità di trovare personale per la cucina e per la sala. Non viene detto però che, secondo la Federazione Italiana Pubblici Esercizi, durante la pandemia 120 mila lavoratori della ristorazione hanno deciso di cambiare mestiere, a causa degli orari logoranti e degli stipendi inadeguati. E nei ristoranti non stellati, cosa succede ? “La situazione lavorativa è la medesima: orari massacranti e retribuzioni comunque ridicole, con l’aggravante che ci si può ritrovare a spadellare prodotti di bassa qualità, in cucine che talvolta lasciano a desiderare per la carenza di igiene e per l’attrezzatura obsoleta”, aggiunge il giovane chef.
Chi vuole continuare a sognare è perciò libero di farlo ma, per non avere un traumatico risveglio, è meglio lo faccia con la valigia pronta ed un biglietto per l’estero in tasca.
In Svizzera, ad esempio, aiuti cuochi e pizzaioli, per 40 ore di lavoro settimanale, possono guadagnare più di 5 mila franchi svizzeri al mese. Scappano i giovani e l’Italia invecchia.


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