PRIMA PAGINA – Nucleare iraniano: per capire come l’uranio sia arrivato a Teheran basta seguire le rotte. Non senza sorprese
Nucleare iraniano: per capire come l’uranio sia arrivato a Teheran basta seguire le rotte. Non senza sorprese
“Mi resi conto che stavo indagando su un traffico di materiali nucleari quando trovai le carte del progetto Dodos all’Euratom, ovvero la Comunità Europea dell’Energia Atomica. Ci chiedemmo tutti perché tali documenti continuassero a circolare se questi fantomatici siluri marini del progetto Dodos, stando alle leggi europee, non potevano essere utilizzati per lo stoccaggio dei rifiuti in mare. C’era sicuramente una ragione per cui quel progetto continuava ad avere una rilevanza. Evidentemente, sui fondali del nostro Paese si doveva custodire qualcosa di diverso dalle sostanze tossiche di scarto”. A pronunciare queste parole nel 2018 è Francesco Neri, il magistrato della Procura di Reggio Calabria che nel 1995, nel corso di un’indagine sui rifiuti tossici, si rende conto che il suo lavoro investigativo sta portando alla luce una verità difficile da raccontare. Un traffico di materiali nucleari che sembra portare dritto verso un Paese del Medio Oriente: l’Iran.
Molto è stato detto e scritto su chi abbia fornito al governo di Teheran le conoscenze e i materiali per sviluppare il programma nucleare più contestato della storia. Si è parlato di tecnologie russe e rotte pakistane. Verità parziali: dinamiche come queste si sviluppano attraverso triangolazioni ben oliate che toccano non uno, ma molti Paesi. L’indagine di Francesco Neri ne aveva contati oltre quaranta.
Nel 1995 l’Italia mette in campo tutte le sue forze. Intervengono la Marina Militare, con il capitano Natale De Grazia, i carabinieri, con il pool capitanato dal maresciallo Nicolò Moschitta, e la magistratura, con Francesco Neri che coordina le indagini. Qualcuno, per sfottere, dice che in procura, dove questi uomini lavorano fianco a fianco, c’è anche un ufficio del Mossad. Nessuno, però, si fa intimidire. Almeno fino alla morte del capitano De Grazia, che chiude bruscamente le indagini.
Dieci anni prima l’arduo compito di mettere le mani su ciò che non si doveva toccare era toccato a un altro magistrato italiano, Carlo Palermo. Nel 1983, mentre in un’anonima stanza della Criminalpol di Roma, si prepara ad ascoltare il principale indiziato della sua inchiesta, un militare munito di nulla-osta Cosmic Nato, si imbatte in alcuni documenti non secretati della tedesca Deutsche Bank, apparentemente di natura commerciale. A sbalordirlo è l’oggetto delle transazioni: tre ordigni nucleari all’Iraq, quantitativi di uranio arricchito e plutonio diretti in Iran.
Passano due anni e qualcuno tenta di assassinarlo con un ordigno a lato della strada su cui sta viaggiando nei pressi di Pizzolungo, in Sicilia. Stessa dinamica di due suoi illustri colleghi, con i quali collaborava attivamente: Falcone e Borsellino. Mandante: la mafia. Carlo Palermo si salva per miracolo. Muoiono al suo posto una madre e due dei suoi figli.
“Le certezze che si trattasse di materiali nucleari arrivarono quando, dopo il sequestro della nave Korabi, apparentemente carica di rifiuti, scoprimmo i doppifondi con tracce di plutonio, un materiale che serve per la costruzione di ordigni nucleari”, racconta Francesco Neri in merito alle sue scoperte del 1995.
La Korabi e i siluri del progetto Dodos lasciano pochi dubbi. Il capitano Natale De Grazia comincia a seguire la pista. È sulle tracce di 8.000 kg di materiali radioattivi che nel 1987 sono arrivati al porto di Genova sulla nave ‘Americana’, direttamente dal porto Norfolk, negli Stati Uniti. Si tratta di barre esauste di uranio, dalle quali, attraverso un procedimento di riprocessamento nucleare, si può ricavare il plutonio a uso bellico.
De Grazia a quanto pare scopre che a Genova il trasporto del carico è stato curato dalla Snam. Destinazione finale: la centrale nucleare di Bosco Marengo, ad Alessandria. Quello stesso anno il referendum dirà ufficialmente no al nucleare in Italia. Ad Alessandria, però, De Grazia non arriverà mai: morirà di un misterioso infarto durante il viaggio.
Alla luce di queste indagini si può perfino immaginare il flusso dei pensieri del ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, quando ieri è volato a Ginevra per incontrare sul tavolo negoziale i cosiddetti Paesi E3: Francia, Germania e Gran Bretagna.
Dipanando con pazienza il filo di insabbiamenti, omicidi e attentati al tritolo, il dubbio che gli organismi coinvolti nel programma nucleare iraniano siano di primaria importanza si fa certezza. Tutti hanno partecipato e taciuto per decenni.
Comprendere cosa abbia cambiato le carte in tavola dopo oltre 40 anni di complicità non è compito arduo: la guerra in Ucraina. Teheran si è schierata al fianco di Mosca minacciando direttamente l’Europa. Un diplomatico europeo ieri ha espresso a Reuters il nodo della questione: “Inviteremo (le autorità iraniane, ndr) a tornare al tavolo per discutere di nucleare (…) Esprimeremo tutte le nostre preoccupazioni su missili balistici, supporto alla Russia e detenzione arbitraria di nostri cittadini”.
Per completare l’edificante scenario mediorientale non resta che citare le parole del cancelliere tedesco Friedrich Mertz: “Israele (in Iran, ndr) sta facendo il lavoro sporco per tutti noi”.
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