Cultura & Spettacolo

Primo Levi e il giornalismo

di Redazione -


 

 

L’opera che rese celebre Primo Levi (1919-1987) è “Se questo è un uomo”, pubblicato nel 1947, sulla sua esperienza di deportato in un lager nazista. Nel centenario della sua nascita, con il libro “Anche il cielo brucia” di Andrea Rondini (Quodlibet, 2012),  lo ricordiamo per la sua attività giornalistica che è meno conosciuta. Il volume analizza gli interventi dello scrittore per i più importanti quotidiani italiani e per periodici di larga diffusione. I temi trattati riguardano fatti di risalto internazionale (come Cernobyl o i viaggi dello Shuttle) e altri di portata nazionale (di grande impatto sull’opinione pubblica e, in molti casi, ancora di stretta attualità). Gli articoli di Levi si soffermano anche su personalità e tracciano una particolare storia dell’Italia e del mondo, viste con l’occhio di un intellettuale scienziato che ha cercato di affrontare – con gli strumenti della ragione, ma anche con una certa polemica, per alcuni versi controcorrente – il caos della modernità. Una delle virtù primarie di Levi, come di un giornalista, è quella di voler conoscere   e parlare, capire e raccontare. Non a caso lo scrittore, come è precisato nell’introduzione, si è soffermato a più riprese sui doveri comunicativi dei giornali, auspicando articoli sorretti da una scrittura chiara e competente (significativo, a tale riguardo, il pezzo sulla tragedia di Tesero, nella Val di Stava del 1985). Inoltre, prima ancora di tutti gli interventi veri e propri sui quotidiani, anche “Se questo è un uomo” può essere assimilato alla pratica giornalistica, a un reportage di un “particolarissimo” inviato speciale. Infine, last but non least, giornalisti compaiono pure in qualità di personaggi nei racconti di Levi. Andrea Rondini insegna presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Macerata.

m.d.v.

 


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