Attualità

Primo maggio in sicurezza e ormai pure in crisi

di Giuseppe Tiani -


Giovedì Primo maggio si è celebrata la Festa del Lavoro, che i lavoratori di polizia hanno garantito in sicurezza e con discrezione. Riconosco, piaccia o non piaccia, che un Governo per la prima volta ha programmato e finanziato tre rinnovi contrattuali consecutivi nel medio periodo. Infatti la legge di bilancio 2025 ha introdotto misure che pur non colmando il differenziale inflattivo, frenano la tendenza al ribasso degli stipendi attraverso la continuità degli incrementi retributivi di poliziotti, militari, professori, sanitari vigili del fuoco e pubblici dipendenti nei trienni 2025-2027 e 2028-2030, avendo liberato risorse per 21 miliardi dedicate ai rinnovi contrattuali. Il Governo Meloni nell’autunno del 2023 aprì uno spiraglio per rilanciare l’assopita politica dei redditi, riducendo scaglioni e aliquote Irpef e finanziando i CCNL del pubblico impiego per il triennio 2022-2023, anche grazie al costruttivo confronto intessuto con i maggiori sindacati dei poliziotti come Siap, Siulp e Anfp. Il primo confronto ufficiale dell’esecutivo in uno scenario sindacale frammentato e mutato, fu aperto con Cgil, Cisl, Uil e poi Confsal, che, fondata nel ’79, è scevra dalla cultura che ha caratterizzato il rapporto tra sindacato e i partiti di massa del ‘900, differenziatosi nel dialogo sociale con il Governo, per una politica sindacale deideologizzata e all’insegna della concretezza. Per l’atavica crisi salariale e stipendiale, e le gravi problematiche afferenti alla sicurezza dei lavoratori, resta incomprensibile il “pactum ad escludendum” in ambito sindacale attuato da alcune delle sigle confederali più tradizionali, che di fatto, hanno rinunciato alla “forza” del valore politico e rivendicativo che sprigiona l’unità sindacale. In Francia, Spagna e Germania ma non solo, gli accordi sindacali hanno posto al centro il potere d’acquisto delle retribuzioni, per valorizzare il lavoro e implementare i consumi del mercato interno, diversamente, la contrattazione italiana lenta e farraginosa, risente della contaminazione delle contradditorie posizioni dei partiti. La crisi retributiva accresce l’insicurezza dei cittadini e mina la solidarietà sociale, ciononostante, la parte sindacale più realistica spinge per chiudere gli accordi di categoria dei comparti statali, mentre la parte sindacale più ideologizzata ne frena la chiusura ritardando la fruibilità degli incrementi stipendiali. Una dinamica contorta, che contribuisce a consolidare il segno negativo nel rapporto tra potere d’acquisto e inflazione, e così la crisi stipendiale imbevuta d’ipocrisia è tornata timidamente ad occupare spazi nel dibattito politico e sociale. Gli stipendi sono troppo bassi, il potere d’acquisto debole e il confronto di merito tra sindacati e Governo è inquinato dall’improduttiva contrapposizione ideologica. Mentre le retribuzioni italiane continuano ad essere inferiori di migliaia di euro rispetto a quelle degli Stati europei più tradizionali gli stipendi dei poliziotti si collocano al decimo posto della classifica europea. In Italia s’invocano politiche più europeiste su giustizia e materie divisive, ma quando l’Europa invita a valorizzare la contrattazione collettiva, i trattamenti stipendiali e salariali minimi, viene ignorata. L’auspicata legge sul salario minimo, diventata vessillo del qualunquismo trasformista della politica che dileggiava sindacato e confederazioni, eppure oggi migliore alleata, se ottenesse l’introduzione del salario minimo (per quanto necessario e ineludibile) imposto per legge, favorirebbe una dinamica che comprimerebbe la libertà contrattuale e il profilo privatistico del sindacato, titolare di un potere collettivo proprio conquistato dai lavoratori in un secolo di lotte, e spingerebbe le relazioni sindacali verso un modello antidemocratico e dirigista tale, da ricordare le “corporazioni fasciste”. Le confederazioni sindacali hanno perso smalto e spinta risolutiva, in ben altre stagioni avrebbero dovuto rivendicare un confronto “laico sul piano politico” per riconquistare gli spazi sottratti alla concertazione prima e alla contrattazione poi, due strumenti negoziali che non possono e non devono essere funzionali alle posizioni dei partiti, perché detto agire ha incrinato la credibilità e il ruolo del Sindacato che non può rinunciare alla sua forza rivendicativa, che è tale quando generata dalla sua autonomia. Il 1° maggio resti la festa dei lavoratori, non la celebrazione dell’ipocrisia politica di chi si ritiene élite politica e sindacale.


Torna alle notizie in home