Politica

Quagliariello: “Serve una Costituente e Meloni apra a Calenda e Renzi”

di Edoardo Sirignano -

GAETANO QUAGLIARIELLO COORDINATORE NAZIONALE DI ITALIA AL CENTRO


“La vera riforma può farla una Costituente. Pur non avendo nulla contro il federalismo, che di per se’ non penalizza il Sud, la bozza di cui si discute oggi è monca”. A dirlo Gaetano Quagliariello, costituzionalista e presidente della fondazione Magna Carta, nonché più di un semplice riferimento per l’area moderata.
Autonomia differenziata, che idea si è fatto rispetto al testo Calderoli?
Serve semplicemente ad aprire una discussione, un dibattito. Non mi sembra avere gli elementi di equilibrio necessari. Lo dice chi, da meridionale, non ha nessuna remora nei confronti del federalismo. Esiste, d’altronde, una lunga tradizione che dice che il Sud può ripartire proprio dall’autonomia o dal federalismo. Basta ricordare pensatori come Giustino Fortunato o Gaetano Salvemini.
I sindaci del Sud, intanto, scrivono addirittura al capo di Stato…
Occorre innanzitutto avere un’idea di quale è il modello di sistema complessivo verso il quale ci si muove. I sistemi politici-istituzionali si basano su pesi e contrappesi (checks and balances). Ad esempio, una cosa è l’autonomia differenziata associata al presidenzialismo, altro è confermare un sistema parlamentare con esecutivo debole. Detto ciò, i sindaci hanno ragione su un punto: non inserire nella bozza i livelli essenziali di prestazione, è poco meno di una provocazione. Le barricate preventive però non servono. Il vero problema è un altro. Oggi nella politica italiana nessuno ha un’idea di Mezzogiorno. Le soluzioni istituzionali dovrebbero essere dei mezzi, non dei fini. Il fine è la crescita del Sud. E su questo terreno i contenuti, purtroppo, scarseggiano. Solo per questo si continua a parlare di reddito di cittadinanza…
Diversi mesi fa più di qualcuno faceva riferimento alla macroregione del Sud. È un’idea tramontata?
Il Mezzogiorno attuale è enormemente differenziato, anche all’interno delle singole Regioni. Lo si potrebbe definire “a macchia di leopardo”. Servirebbe, quindi, un vero e proprio atlante, in grado di individuare i problemi e le opportunità di sviluppo. Una macroregione con compiti di programmazione, potrebbe assolvere a questo compito.
Cosa pensa del presidenzialismo?
Ci sono alcune riforme che si possono fare a pezzi, altre no. Bisogna avere un’idea complessiva che parta dal ruolo dei Comuni, delle Province e delle Regioni. Tutto questo alla luce di una realtà, evidenziata anche nel messaggio di fine anno da Mattarella, di forti differenziazioni territoriali che crescono, anziché livellarsi. E il problema non riguarda solo Nord e Sud, ma anche le asimmetrie che esistono tra aree interne, costiere e grandi centri urbani.
La strada per le riforme si chiama Bicamerale?
Per crearla e darle poteri decisionali non si può non passare per la revisione dell’art. 138. Per far ciò ci vuole del tempo, trattandosi di una riforma costituzionale. Pero’ non ci sono scorciatoie: per cambiare radicalmente un sistema politico, occorre qualcosa di molto simile a una Costituente. La si può chiamare Bicamerale o Filippo non cambia nulla.
Le opposizioni, su temi così delicati, farebbero bene a sedersi al tavolo con la maggioranza, mettendo da parte i no strumentali?
Non c’è dubbio. Molte delle riforme di cui si parla, d’altronde, sono state già trattate assieme alle attuali opposizioni. Come sa, ho fatto parte della commissione dei cosiddetti “saggi” voluti dal Presidente Napolitano. Eravamo Onida, Violante, Mauro ed io. Approvammo un testo all’unanimità. Quando poi feci il ministro, nel tempo necessario a cambiare l’art. 138, fu creata una commissione di una cinquantina di esperti, provenienti da ogni estrazione politica, dall’estrema sinistra alla destra. Anche in quel caso si raggiunse l’unanimità su una bozza di riforma. Su questo tema, da allora, non è cambiato quasi nulla. Sono passati solo alcuni anni. Il problema, dunque, è politico, non di merito. Le opposizioni, lo dico da osservatore senza compiacermene, sono messe così male che potrebbero pensare di sfruttare il tema delle riforme per ritrovare una forza politica che non hanno.
Il Terzo Polo, a più riprese, intanto, ha dimostrato di voler avviare un confronto con la leader di Fdi. Qualcuno dice che Meloni stia diventando sempre più centrista…
Le istituzioni moderano gli atteggiamenti di tutti. Entro certi limiti è fisiologico. Quando fai l’oppositore è evidente che devi avere posizioni più estreme rispetto a quando hai responsabilità di governo. Non c’è da stracciarsi le vesti. La Meloni, piuttosto, col passare del tempo si troverà a dover risolvere un problema perché non potrà avvantaggiarsi in eterno per le divisioni all’interno dell’opposizione. Dovrà decidere come rapportarsi con l’elettorato moderato. Potrà farlo attraverso la creazione di un grande partito conservatore, all’interno del quale ci siano più sfumature e correnti (e il presidenzialismo potrebbe favorire questo disegno) o attraverso l’approfondimento di un rapporto con il Terzo Polo, che a quel punto non potrà essere solo di attenzione, ma dovrà essere qualcosa di più.
È ancora possibile la grande casa dei moderati, immaginata da più di qualcuno prima del 25 settembre?
Siamo in una fase di stallo della politica. Potremo capire qualcosa in più solo dopo due eventi. Il primo sono le elezioni regionali. Pur essendo il loro esito scontato, faranno chiarezza sugli equilibri tra i partiti all’interno degli schieramenti. Altro nodo cruciale sarà il prossimo congresso del Pd.
Perché?
A parte il risultato, anche in questo caso a mio avviso scontato, consentirà di comprendere se il nuovo segretario sarà in grado realmente di riprendere un’egemonia sull’area dell’opposizione oppure si rafforzerà una tendenza simile a quella che ha colpito il partito socialista francese, che da partito egemone è diventato un semplice comprimario.

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