QUEI PRIMI METRI DELLA MARATONETA
Tommaso Cerno
Se i primi 100 giorni del governo sono quelli di un premier, Giorgia Meloni, che si è definita una maratoneta e che ha come obiettivo, a differenza di tutti i premier se si esclude Silvio Berlusconi, di portare a termine il mandato di cinque anni a Palazzo Chigi, diventa più difficile dare un giudizio politico. Perché la destra che si è messa a governare il paese, in un momento di difficoltà economica e confusione geopolitica senza precedenti, non somiglia per molti aspetti alla campagna elettorale. Non tanto a quella del centro-destra, che ha deciso di far cadere il governo Draghi per riunificare il cartello elettorale, quanto alla lunga marcia di opposizione che è valsa a Giorgia Meloni e al suo giovane partito Fratelli d’Italia la scalata nei sondaggi dal 4 al 30%. Si tratta quindi di descrivere una mutazione. E se elenchiamo i nodi di questi mesi, tale cambiamento si manifesta là dove il governo ha dovuto fare retromarcia. Con due giudizi, la condotta e il merito. Sulla prima è arrivato ciò che tutti chiedevano, la presa di coscienza che promettere e fare sono due parole diverse: la prima buona per convincere gli italiani che c’è un cambiamento possibile, la seconda per dimostrare che questo cambiamento non può avvenire in uno stato di autarchia ma deve coinvolgere il sistema in cui siamo inseriti. La seconda questione riguarda invece le scelte di merito. Il governo Meloni è stato criticato per esempio per non avere rinnovato gli sconti sulle accise della benzina che Draghi aveva introdotto quando il costo del carburante alla pompa aveva superato i 2 euro al litro. L’opposizione è andata all’attacco del premier, così come gli alleati di maggioranza, forse in vista delle regionali, hanno sottolineato la differenza di vedute con Meloni. Personalmente, non la penso come loro. Anzi penso che abbia fatto la scelta più intelligente per un capo di governo. Non so se fosse meditata. Ma ha sortito due effetti che la salvano nel 2023 dalla necessità di dover intervenire a pioggia sulla miriade di problemi economici che ogni cittadino italiano sta vivendo, sempre con la stessa formula del bonus dello Stato, dell’elemosina pubblica, come se la politica fosse diventata un grande servizio sociale che per tenersi buono questo o quell’elettore elargisce denaro, che viene sempre dalle tasche di questo o quell’ elettore, anziché promuovere politiche che possano portare il paese fuori dalla crisi e garantire i cittadini di potersi permettere la vita nel proprio paese, il pieno di benzina, la spesa al supermercato. Perché se la politica continua sulla strada dei favori, finirà il suo senso più profondo, perderà anche quel poco di credibilità residua che le resta. Se Meloni l’ha fatto per questo motivo, ha fatto una scelta molto furba. Se l’ha fatto per caso, la fortuna aiuta gli audaci. Stessa cosa vale per la famosa lite con la Francia in tema di migranti. Nulla è stato risolto. Come negli ultimi 15 anni. Ma qualcosa è cambiato. Intanto si parla anche della rotta balcanica, che era un’altra Lampedusa nascosta agli occhi delle persone, che mutava nella sostanza i numeri e le problematiche legate agli sbarchi clandestini nel nostro Paese, che continuano a essere tantissimi e che l’Europa non ha mai davvero preso in carico. In secondo luogo, sarà un caso anche questo, ma quel mezzo no pronunciato dal governo di destra italiano ha alzato l’attenzione dell’Europa sulle esigenze del nostro Paese in merito a una politica comune, davvero condivisa però, sul tema delle grandi migrazioni in essere. Sarà semplicemente che per la prima volta un governo ha espresso anche un parere politico. In fondo non eravamo più abituati, governati come siamo stati da coalizioni fabbricate in Parlamento che si reggevano su equilibri dinamici legati alle poltrone e al partitismo italiano. Se due indizi fanno una prova, l’unico giudizio che mi sento di dare a 100 giorni dall’insediamento del Governo è che la fortuna aiuta gli audaci. E audaci, mi si passa il gioco di parole, quelli di destra lo sono. Non credo che per giudicare davvero Meloni dovremo aspettare cinque anni, sempre che sarà capace di restare in sella così a lungo. Ma certamente il passaggio chiave sarà il periodo che passerà tra le elezioni regionali di febbraio e le elezioni europee del prossimo anno. In questo tempo il governo sarà chiamato davvero a fare delle scelte. E a definire una posizione internazionale, rispetto al Mediterraneo, e alla nuova geopolitica mondiale seguita alla terrificante guerra in Ucraina che sta mettendo in ginocchio l’Europa. Al di là del Padre Nostro che tutti devono recitare sulla naturale collocazione dell’Europa in Occidente, nella Nato, nell’Alleanza Atlantica, cosa che sanno anche i muri, il problema sarà capire se i paesi più forti d’Europa, Italia Germania e Francia, riusciranno a dare a questa Alleanza, a cui appartengono, una prospettiva di futuro che non sia solo investire miliardi in armi per poi trasferirli in paesi in guerra sull’idea che la democrazia e la pace si conquistano sparando colpi di cannone e missili. Non foss’altro per la ragione più banale: lo facciamo da un anno e le cose sono solo peggiorate
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