Cultura & Spettacolo

Quel profumo di Rimini a Milano

di Nicola Santini -


Un vero e proprio viaggio sensoriale capace di regalare morsi e sorsi di Romagna in pura salsa riminese. Solo che è in quella Milano modaiola e tiratardi che da anni ha scoperto che si può essere fashion e golosi allo stesso tempo, purché si mangi bene e sano. L’accoglienza è autentica. Sembra davvero di entrare in una casa romagnola di quelle dove, dopo un minuto, ti senti parte della famiglia. La piadina arriva per prima ed è sottile (come usa a Rimini), croccante, perfettamente sfogliata, nemmeno lontanamente parente di quelle prodotte in serie dei vari pit stop dove spezzare la fame e lasciare il godimento alla volta dopo. Questo va detto. La piadina, giustamente è religione. Ma sacro, anzitutto è il culto dell’ospitalità. Che significa mangiare assai e bene, fare la scarpetta senza pudore, fermarsi a chiacchierare e soprattutto, non riunciare a una sola portata. Torno un secondo alla piadina perché incanta per come è fatta. La si vede al di là di un vetro in una sorta di cucina Orweliana, che ti fa vedere cosa succede in ogni momento. Da quel quadro vetrato si entra nella dimensione riminese fatta di riti e passaggi obbligati, anche nella farcitura.
I passatelli si mangiano prendendoli da una generosa zuppierona bianca della nonna, ci si riempie la fondina personalmente. La goduria è assicurata. Ed è assoluta. Il brodo è leggero, casalingo, saporito, balsamico. E quando fa freddo si gode anche di più. Chi alla pasta in brodo preferisce quella fresca, altro capitolo religiosamente venerato e sul quale non si sgarra può attingere alle classiche ma ineguagliabili tagliatelle al ragout, perfette, nella loro veste più popolare che pop, con un sugo che invita al godimento finale con una fetta di pane, fino a pulire il piatto, in barba al bon ton e in sella al buon senso che ti dice. “quando ti ricapita?”.
E poi le polpette, anzi le polpettine di manzo, che nuotano senza esagerare,in un sugo di piselli e pomodoro che canta “viva la mamma”, insieme al galletto aromatizzato alle erbe con una salsina che arriva dritta al palato e subito dopo al cuore da un ricettario segreto che è già tormentone di esperti gourmet. Le porzioni sono molto materne. Sembra che in cucina ci sia qualcuno che si domanda se nel piatto c’è abbastanza e questo non va mai a discapito della qualità che è costante in qualsiasi portata. Chi non mangia salato potrebbe storcere un po’ il naso, ma il gioco vale la candela, e non c’è esagerazione, solo una mano un po’ abituata ad andarci seria.
Merita un plauso anche l’insalata fatta con misticanza, roastbeef dell’entroterra romagnolo, pomodorini e salsa al Parmigiano Reggiano. Tra i secondi meritevole il coniglio alla cacciatora, e tra i contorni in coccio le erbette di campo saltate in padella. Si può chiedere il bis e ottenerlo con fior di sorriso.
La chiusura romagnola chiama per obbligo di cose la zuppa inglese, che va provata però anche il tiramisù merita.

A chiusura, è d’obbligo anche il selfie sotto la scritta che richiama Casadei: “Lontan da te non si può star”. Nemmeno a Milano.

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