Quella foiba che qualcuno vuole ancora cancellare
C’è una foiba che qualcuno vuole ancora cancellare. Niente può contrastare la storia e la verità, ma in Italia continuano ad esserci non solo i leoni da tastiera che ingolfano i social con le peggiori bugie e nefandezze ma pure i codardi della bomboletta spray. Sabato scorso a Trieste hanno infangato con scritte in sloveno la Foiba di Basovizza, il pozzo di Trieste nella zona nord-est dell’altopiano del Carso dove nelle fasi finali della Seconda Guerra Mondiale furono gettati i corpi di prigionieri, militari, poliziotti e civili, uccisi dai partigiani comunisti jugoslavi, inizialmente destinati ai campi d’internamento allestiti in Slovenia. Un gesto che, invece di rinfocolare chissà quali pretese di identità (“Trieste è nostra”) ha serrato le fila delle istituzioni.
“Nulla può far tornare indietro la storia che Slovenia e Italia hanno costruito e costruiscono insieme”, ha detto il Capo dello Stato, Sergio Mattarella. “La Foiba è un luogo sacro, un monumento nazionale, da onorare con il silenzio e con la preghiera. Oltraggiare Basovizza, per di più con scritte ripugnanti che richiamano a pagine drammatiche della nostra storia, non vuol dire solo calpestare la memoria dei martiri delle foibe ma significa oltraggiare la Nazione intera”, ha affermato la premier Giorgia Meloni.
Quelle scritte, l’applicazione stupida e pericolosa di un negazionismo che ancora qualcuno prova ad alimentare e che invece sono servite a dare più linfa, da sabato al Giorno del Ricordo che viene celebrato oggi. Facendo conoscere più ampiamente, si spera quel posto che molti pensarono rimanesse oscuro e ignoto. Vi si recò per la prima volta nel 1991 Francesco Cossiga e Oscar Luigi Scalfaro nel 1993 dopo che un asno prima lo aveva fatto monumento nazionale.
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