Ambiente

Quelle Voyager voce della Terra a caccia di pianeti

di Redazione -


COSE DELL’ALTRO MONDO – Quelle Voyager voce della Terra a caccia di pianeti

di ANDREA NIDO

“Questo è un regalo di un piccolo e distante pianeta, un frammento dei nostri suoni, della nostra scienza, delle nostre immagini, della nostra musica, dei nostri pensieri e sentimenti. Stiamo cercando di sopravvivere ai nostri tempi, così da poter vivere fino ai vostri”. Questa frase del presidente statunitense Jimmy Carter è stata incisa, insieme ad altre in lingue diverse, su un disco di rame, ricoperto d’oro, che oggi si trova a più di venti miliardi di chilometri dalla Terra.

A portarlo oltre il sistema solare le sonde Voyager 1 e 2, che hanno lasciato il nostro pianeta nel 1977 con una missione principale: l’esplorazione dello spazio profondo. Con loro viaggia soprattutto la testimonianza di una specie intelligente, che ha inciso la propria storia, il proprio retaggio, tutta la sua conoscenza su un disco. L’uomo, per la prima volta dalle origini, è stato capace di lasciare in dono la sua essenza e la sua anima, a chi un giorno potrebbe intercettare il percorso delle Voyager, estensioni fisiche dell’umanità nello spazio, con la speranza che possa interpretare i messaggi sul disco e magari capire chi e cosa siamo. Pensandoci bene non è sufficiente tutta la scienza del mondo per percepire fino in fondo quello che questi due piccoli oggetti rappresentano per noi abitanti di questo pianeta blu.

Pale blue dot, ovvero, tenue punto blu, è l’esatta definizione che, in procinto di lasciare il sistema solare, abbiamo dato all’ultima foto scattata alla Terra dalla Voyager 1. Per ragioni di efficienza energetica, vista l’enorme distanza della sonda dal Sole, l’abbiamo poi dovuta rendere “cieca”, ma non sorda. A distanza di quasi mezzo secolo, le due sonde parlano ancora con noi. Ma non è questa la cosa più incredibile! La notizia ai limiti della fantascienza è che le Voyager continuano a inviarci costantemente dati coerenti, che utilizziamo per interpretare cosa c’è là fuori e capire dove si stanno dirigendo. L’infinita ricerca dell’immortalità da parte dell’uomo è forse giunta ad una suo primo risultato, consegnando all’immenso abbraccio dell’Universo i nostri suoni, la nostra musica, le nostre parole ed infine il nostro dna. Per poter dire: noi siamo stati, noi siamo esistiti. Se non è poesia, questa.


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