Politica

Quello sciopero defunto che vive e lotta con noi

di Redazione -


di MICHELE GELARDI

È noto che occorre un governo di centro-destra o destra-centro o solo centro o solo destra o rosa-pallido, omnimodo inviso alla sinistra, per risuscitare il morto, ben seppellito da almeno un secolo, chiamato “sciopero generale”.

Il miracolo si ripete ciclicamente, non frequentemente come quello di S. Gennaro, ma pressappoco. E proprio recentemente, ancora una volta, lo sciopero generale ha fatto la sua ricomparsa, come il sangue liquefatto di S. Gennaro. Il miracolo questa volta si deve alla signora Giorgia Meloni, come precedentemente al cavaliere Silvio Berlusconi, seppure l’officiante prende il nome di Landini, come precedentemente Cofferati o Lama.

In assenza dei primi, i secondi non avrebbero riesumato e risuscitato il cadavere, cosicché i veri artefici del miracolo, sia pure per via indiretta e mediata, sono i presidenti del consiglio “non graditi” da quei sindacalisti che vestono i panni degli officianti e riservano a sé tutti i meriti dell’apparizione prodigiosa. Gli italiani probabilmente hanno ben compreso la legge che sovrintende alla ciclicità miracolosa (la quale può essere enunciata nei termini della dialettica hegeliana: tesi=governo non gradito alla sinistra; antitesi=sciopero generale; sintesi=governo “tecnico”); è probabile tuttavia che non abbiano ben compreso come e perché quel loro privilegio sia unico al mondo.

Nella restante parte del pianeta, lo “sciopero generale” non dà segni di sé dai primi del ‘900, da quando lo strumento di lotta per realizzare il socialismo, teorizzato da Georges Sorel, lasciò il posto alla pacifica competizione elettorale.

Ma si sa che la sinistra italiana è particolarmente fantasiosa. Al pari di Arlecchino, riesce a servire due padroni, indossando ora i panni del “partito di lotta”, ora quelli del “partito di governo”. Ovviamente, la “lotta” non è sinonimo di opposizione responsabile; non si esprime solo nelle aule parlamentari, anzi predilige le piazze; non riconosce il limite dell’interesse nazionale, anzi obbedisce alla logica del “quanto peggio tanto meglio”; cosicché l’orfano di Sorel, dopo parecchi decenni, torna a nuova vita; beninteso solo in Italia.

Nelle altre parti del mondo, lo sciopero generale non ha ragion d’essere; o perché la guerra, militare o civile, va ben oltre lo sciopero; o perché, in condizioni di pacificazione, il sindacato dei lavoratori fa il suo mestiere di sindacato e il partito fa il suo mestiere di partito politico. Otto miliardi di uomini (meno sindacalisti e simpatizzanti italiani) sono così ingenui, da pensare che il sindacato debba occuparsi dei rapporti di lavoro; e poiché risulta impossibile che tutti i rapporti siano coinvolti contemporaneamente nella medesima vertenza sindacale, lo “sciopero generale” non può esibire il certificato di esistenza in vita, in alcuna parte del mondo.

Lo esibisce solo in Italia, ciclicamente, all’apparizione del governo sgradito, per la semplice ragione che il sindacato si occupa delle politiche sociali, previdenziali e fiscali, nonché dei flussi migratori e quant’altro, ossia delle condizioni generali della convivenza; in sintesi, fa le veci del partito politico, proprio come voleva Sorel.

In questa sua veste di tutore degli interessi generali, chiama allo sciopero generale, in primis, tutti i suoi iscritti, metà dei quali sono pensionati, cosicché in Italia e solo in Italia si verifica lo sciopero dei pensionati, ignoto agli otto miliardi di cui sopra e degno della commedia dell’assurdo, posto che i pensionati non possono astenersi dal lavoro, dal quale si sono già irreversibilmente congedati.

Ai cortei dello “sciopero” soreliano è gradita anche la partecipazione degli studenti, le cui corde vocali sono più efficienti di quelle dei pensionati, benché anche gli studenti siano estranei a qualsivoglia rapporto di lavoro. Insomma, nella “confusione delle lingue” che regna in Italia, grazie alla sinistra, prima comunista, oggi postcomunista e magari green, c’è spazio anche per i defunti-viventi.


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