Politica

QUIRINALE: MATTARELLA ESCLUDE IL BIS MA I PARTITI?…

di Redazione -


So bene che l’analisi è impietosa, ma ci sarà pure un motivo per cui la Sinistra democristiana, in tutta la storia della prima repubblica, pur contando su uomini di cultura e di grande preparazione politica, non è riuscita quasi mai ad avere la guida del Partito. E quando l’ha avuta, come nel breve periodo della segreteria Zaccagnini tra il giugno 1976 e l’assassinio di Aldo Moro, l’ha subito persa. E il motivo sta nel “rigore” – nel Partito non sempre condiviso dalle altre componenti – e nella cristallina rettitudine dei suoi esponenti, da molti ritenuta eccessiva. Sì, c’è stato De Mita. Ma De Mita è stato sempre considerato, per una sua concezione del potere, un’anomalia, un “doroteo di sinistra”. Quando parliamo di Sinistra DC parliamo dei Bodrato, dei Salvi, dei Granelli, dei Pisanu, dei Fracanzani, dei Galloni che, eletto capogruppo alla Camera, si è fatto soffiare il posto dopo poco più di due anni da Gerardo Bianco, allora oscuro rappresentante dei “peones”. E parliamo soprattutto di Sergio Mattarella che nel suo ultimo discorso al Quirinale, asciutto ma ricco di riflessioni, ha escluso qualsiasi ipotesi di “bis” Un “saldezza morale” ed un rispetto della Costituzione cui la Sinistra DC si è sempre ispirata e che avevano caratterizzato la vita politica dei primi anni della nostra storia repubblicana consentendo all’Italia di uscire rapidamente, e bene, dalle rovine del dopoguerra ma che “cozzano” con la trasformazione della Politica che negli anni ha purtroppo perso la “P” maiuscola. Una conferma viene dalla “rigorosa” lettura di Sergio Mattarella dell’art. 85 della Carta che però, nella irresponsabilità di un Parlamento frammentato e in un’assenza di una regia politica, potrebbe anche consegnare la più alta magistratura dello Stato a Silvio Berlusconi e la guida del Paese ad una Destra in mano a personaggi spregiudicati come Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Due furbacchioni, con una storia personale ed un curriculum culturale che fa “a cazzotti”, stride, con quello dei nostri Padri costituenti e dell’attuale Presidente della Repubblica E’ vero. Il mandato del Capo dello Stato è fissato il 7 anni, non pochi per la verità. E sulla sua riduzione è in corso da anni uno sterile dibattito politico. Ma l’emergenza pandemica, versione Omicron, senza precedenti nel mondo, e i miliardi del Recovery Fund che non sono ancora in banca, avrebbero potuto suggerire anche a Mattarella una lettura meno rigorosa del dettato costituzionale. Senza considerare che molte delle riforme richieste dall’Europa non sono ancora iniziate o sono appena in embrione. In fondo, se proprio per l’emergenza sanitaria, è slittato il voto amministrativo in importanti città come Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna, altrettanto si potrebbe fare con l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Tanto più che ci troviamo ad un anno dalla fine naturale della Legislatura. Addirittura più funzionale, forse, potrebbe essere un accordo fra tutti i Partiti per far eleggere il successore di Mattarella dal nuovo Parlamento, per la prima volta ridotto drasticamente nei numeri da una riforma costituzionale firmata proprio dall’attuale Presidente della Repubblica. Non si discute sul fatto che le rappresentanze parlamentari del 2018 non corrispondano più – ma attenzione sulla base di sondaggi – al peso odierno delle forze parlamentari. Ma come si fa, sulla base di tale presunzione, a “legare” la scelta del nuovo Capo dello Stato ad un “accordo” che preveda, subito dopo, lo scioglimento della legislatura e sapendo che la metà dei parlamentari non verranno confermati per effetto della loro riduzione e per i cambiamenti, sempre secondo i sondaggi, intervenuti nell’opinione pubblica. Allora, spazio ancora ai franchi tiratori e decisioni al buio?

PdA


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