Ramona Rinaldi: un suicidio che diviene femminicidio
Il cadavere di Ramona Rinaldi, di 39 anni originaria di Como, ma residente con il proprio compagno a Veniano (Comasco) era stato rinvenuto dall’uomo, nel bagno dell’abitazione dove la donna si sarebbe impiccata. I soccorsi, vengono allertati alle prime luci dell’alba dall’uomo che avrebbe sempre portato avanti la storia di essersi svegliato attorno alle 5 del mattino e che, poco dopo, non avendo trovato a letto la compagna, avrebbe iniziato a cercarla nella casa, fino al ritrovamento della donna, impiccata nella doccia con la cintura di un accappatoio. Dai primi sopralluoghi, l’ipotesi del suicidio non ha convinto a pieno gli inquirenti che, a seguito delle verifiche e delle indagini eseguite, hanno fermato Re, a Milano (dove ha una casa famiglia). L’uomo è finito in carcere, a San Vittore, con l’accusa di omicidio, con questa accusa, vi è la possibilità che abbia simulato il suicidio della compagna, dopo averla uccisa. I Carabinieri che hanno condotto le indagini, avrebbero trovato numerose discrepanze tra il racconto di Daniele ed i rilevamenti effettuati, mentre il magistrato che ha disposto ulteriori indagini, avrebbe ipotizzato anche una possibile morte violenta. Tra le incongruenze del racconto del trentaquattrenne, le motivazioni non convincenti sul perché, avesse fatto partire un ciclo di lavatrice (presente nel bagno del ritrovamento del cadavere), al cui interno aveva anche la camicia da notte di Ramona Rinaldi. Importante il contributo e le testimonianze dei vicini della coppia, che avrebbero riferito agli inquirenti, di aver sentito un forte rumore, nel pieno della notte. La possibilità che Daniele Re, azionando la lavatrice volesse liberarsi di possibili indizi, uniti alle testimonianze dei vicini e dai racconti di chi Ramona, la conosceva bene e sapeva che non avrebbe mai lasciato la figlia. Tutti indizi che, uniti insieme alle discrepanze tra l’ora del decesso della donna e le azioni del compagno della stessa, hanno indotto il proseguo delle indagini. Daniele Re, già nell’autunno dello scorso anno, stava passando (a detta di chi lo conosceva e soprattutto dei parenti di Ramona), un periodo di irrequietezza, tanto che, i Carabinieri di Appiano Gentile (Como), gli fecero revocare il permesso di detenzione di un’arma, ad uso sportivo. Sempre nello stesso periodo, l’uomo si licenziò dal proprio posto di lavoro restando così disoccupato e sotto l’attenzione della famiglia di Ramona che, nella versione del suicidio, non ha mai creduto. Re, nella prima fase delle indagini, già a marzo era stato indagato per omicidio volontario, dopo le perquisizioni del NIC (Nucleo Investigativo Centrale) e dei RIS, e successivamente, per svolgere l’incidente probatorio, era stato ascoltato in procura (confiscandogli anche il telefonino). La misura cautelare, basata sul possibile pericolo di fuga di Re, avrebbe portato all’arrestato con l’accusa (e l’ipotesi) di omicidio volontario. L’uomo potrebbe avere simulato, quindi, il suicidio, ricostruendo una scena ad hoc, per coprire, invece, una possibile femminicidio. L’arresto, sarebbe un atto dovuto al fine di permettere alla procura la ricostruzione quanto accaduto nella notte tra il 20 ed il 21 febbraio. Il sostituto procuratore Antonia Pavan, che ha coordinato le indagini, con minuziosa attenzione, ha compreso che le dinamiche della morte di Ramona, potessero essere ben diverse, dl ritrovamento e dall’apparente suicidio. Daniele Re, attualmente nel carcere di San Vittore a Milano, sta attendendo l’interrogatorio di garanzia, che dovrebbe avvenire nelle prossime ore.
Torna alle notizie in home