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Il rebus del terzo mandato: si riapre la partita?

di Ivano Tolettini -


La partita sul terzo mandato si riapre? Soltanto una settimana fa, prima della sconfitta del candidato del centrodestra, Paolo Truzzu, alle regionali sarde, la premier Giorgia Meloni rispondendo alla domanda di Bruno Vespa analizzò: “Il terzo mandato non era inserito nel programma, non è iniziativa del governo, era una iniziativa parlamentare, ci sono state opinioni diverse in massima serenità”, se n’è discusso a più livelli tuttavia “non è una materia che in qualche maniera crea problemi al governo o alla maggioranza”.

La partita sembrava chiusa. Sette giorni dopo, invece, Matteo Salvini e la Lega sono tornati a ribadire che “impedire il terzo mandato limita la democrazia”. Il retropensiero leghista è che impedire ai cavalli di razza come Luca Zaia e Massimiliano Fedriga la possibilità di ricandidarsi aprirebbe la strada all’instabilità, meglio alla possibilità che un “campo largo” o un “campo giusto” possa sparigliare le carte e issare al potere un proprio candidato.

Ma è proprio così? Il tetto dei due mandati, dunque dieci anni di governo, per l’attuale legge garantisce comunque la possibilità di attuare il programma di Regione (e anche dei Comuni superiori ai 15 mila abitanti), favorendo ad un tempo il ricambio delle classi politiche e impedendo il pericolo delle cosiddette “incrostazioni”, cioè quelle clientele che diventano spesso sistema negativo e possono favorire corruzioni e malversazioni, oppure limita per davvero la volontà popolare chiudendo la porta in faccia alla meritocrazia?

Da giorni, sulle pagine del Corriere del Veneto a proposito del terzo mandato si assiste a un serrato ed apprezzabile dibattito democratico che coinvolge centinaia di appassionati lettori. La vittoria di Alessandra Todde per pochi voti ha rilanciato il dibattito nel campo conservatore dopo che la scorsa settimana la commissione Affari costituzionali del Senato aveva bocciato il terzo mandato per i governatori grazie al voto di FdI e FI contro l’emendamento della Lega. Con i senatori leghisti si è schierata soltanto Italia Viva, mentre con FdI e Fi hanno respinto l’emendamento del Carroccio anche le opposizioni con Pd, M5s e Avs compatte.

Ieri il Capitano è tornato a dire la propria: “Se uno si trova un sindaco o un governatore bravo dovrebbe potere essere libero di sceglierlo o mandarlo a casa, sono i cittadini che decidono”. Quindi aggiunge:” Per me vale quello che vale per i parlamentari: non c’è un limite, alcuni lo fanno da 40 anni e la gente li vota”.

Le resistenze al pensiero leghista sono ribadite da Roberto Occhiuto, governatore della Calabria e vicesegretario di Forza Italia, che intervenendo a Un giorno da Pecora su Rai Radio 1: “Non sono particolarmente contrario al terzo mandato per i presidenti di Regione, ma penso che due siano sufficienti”. Anche perché “gli stimoli per fare il presidente di Regione dopo dieci anni di governo non siano più gli stessi di inizio mandato”.

Fatto sta che il senatore della Lega Paolo Tosato, che aveva presentato l’emendamento sul terzo mandato dei governatori in Commissione, rilancia che “stiamo valutando l’opportunità di ripresentare l’emendamento in aula in occasione dell’approvazione del decreto elezioni”. “Noi della Lega restiamo dell’idea – aggiunge – che sottrarre ai cittadini la facoltà di confermare un governatore ben voluto e che ha amministrato bene è un errore. È una limitazione del diritto di voto che non condividiamo”.

Fermo sulle proprie convinzioni, invece, è il capogruppo di Fdi alla Camera, Tommaso Foti, che osserva: “Non è un problema che attiene a quello che era il programma di governo. Ritengo che il tema continui a non essere urgente – aggiunge – Se lo si vuole ritenere tale, se si trova un accordo bene, diversamente il Parlamento deciderà nella autonomia». Insomma, il partito di Giorgia Meloni è convinto sostenitore del limite di due mandati per sindaci e governatori, scelta anche in linea con la riforma del premierato.

Sul punto il presidente degli industriali veneti, Enrico Carraro, viene in soccorso a Zaia: “Da imprenditore, e da osservatore del territorio, dico che noi veneti siamo abituati alla stabilità politica, e la apprezziamo. Ora invece si apre una fase inedita e concitata, se Zaia non potrà correre per il terzo mandato la nostra regione diventerà territorio di conquista”. “Noi veneti siamo abituati a lavorare a testa bassa, ad occuparci di politica ogni cinque anni, cioè quando bisogna votare, e poi dimenticarcene – evidenzia Carraro -. L’instabilità fa male a tutti, vale a livello nazionale come a livello locale: al di là di colori e schieramenti, per gli imprenditori la chiave è la continuità delle politiche”. Infine chiosa: “Da osservatore, non da tifoso, noto che Zaia è stato rieletto nel 2020 con il 76% dei voti, percentuali che non raccoglieva neppure la Dc, e lì dentro ci sono voti di operai, contadini, piccoli imprenditori e grandi imprenditori. C’è tutta la società. In Veneto senza Zaia rispetto alla stabilità che egli ha garantito si apre una nuova era”.

Il tema politico torna a Giorgia Meloni, che ieri era negli Stati Uniti, che dovrà riaffrontare la questione al suo ritorno. Il quesito di fondo è che impedire il terzo mandato limita la democrazia oppure due mandati sono sufficienti nell’ottica dell’alternanza, salutare per la democrazia?


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