Politica

Regionali, centrodestra in fibrillazione: la Lista Zaia e la “buonauscita”

di Ivano Tolettini -


Il centrodestra è alle prese con una complessa partita per trovare la quadra nel suo feudo più solido: in Veneto, il rebus della candidatura per le regionali si è trasformato in una questione politica nazionale.

La Lista Zaia

Al centro della scena non c’è un candidato, ma un’assenza: Luca Zaia, il Doge, il presidente che per 15 anni ha guidato la Regione con consensi plebiscitari, e che non può ricandidarsi. Ma la sua ombra lunga incombe sulle trattative. E lo fa attraverso la “Lista Zaia”, divenuta la leva per la trattativa che tiene in scacco Lega e Fratelli d’Italia. Zaia lo ha detto chiaramente, senza giri di parole, ieri a Castelfranco: “Non presentare la mia lista sarebbe un errore”. Perché? Perché quella lista, che alle ultime regionali ha ottenuto più voti della Lega, raccoglie consensi (oltre il 25% tra elettori Pd) che i partiti tradizionali non intercettano più. È un contenitore civico che pesca tra i moderati, tra gli astenuti, tra gli ex delusi da centrodestra e centrosinistra. Una rete che Zaia non intende lasciare inutilizzata.

Ma non è solo una questione elettorale. È una partita di potere. Zaia che è un politico di razza si muove per restare decisivo nella partita futura. E la sua Lista, con il potenziale di voti e consiglieri, è diventata il suo scudo e la sua moneta. Non correrà per la Regione, ma intende negoziare un’uscita di scena da protagonista. Un posto nel governo? La candidatura a sindaco di Venezia? O magari un grande incarico nazionale su infrastrutture, autonomia o sanità? I contorni restano sfumati, ma la posta è altissima. E Zaia non ha alcuna intenzione di uscire di scena dalla porta di servizio.

Cosa succede in casa Lega

Il braccio di ferro è anche all’interno della Lega. Matteo Salvini spinge per il vicesegretario federale Alberto Stefani, giovane e fedele, come candidato alla guida del Veneto. Una scelta di partito, interna, che però sconta tre enormi incognite: l’assenza della Lista Zaia, la forza di FdI e la circostanza che salvo gli addetti ai lavori pochi conoscono il giovane padovano Stefani. Che molti confondono con la senatrice omonima di Vicenza. Senza il contenitore civico del Doge, la Lega rischia una débâcle: eleggere un governatore formalmente leghista ma debole nei numeri, dipendente dagli alleati, privo dell’autonomia e dell’autorevolezza che hanno segnato l’epoca zaiana.

E proprio FdI, oggi in posizione dominante a livello nazionale, non ha intenzione di fare da stampella. Anzi, ha i suoi nomi in campo: Raffaele Speranzon e Luca De Carlo, due parlamentari di peso, esperti, ben radicati sul territorio. Donzelli, responsabile organizzazione di FdI, getta acqua sul fuoco: “Non poniamo questioni di bandierine”. Ma la verità è che la partita è apertissima. La “Liga” non vuole essere fagocitata, FdI non vuole rinunciare alla sua avanzata, FI osserva silenziosa. Meloni è determinata a non cedere alla pressione di una lista civica che potrebbe sottrarre voti preziosi e delegittimare i suoi uomini.

Il centrodestra, insomma, è davanti a un bivio. O riesce a ricomporre la frattura, costruendo una coalizione che tenga dentro Zaia, la sua eredità e il suo consenso civico, oppure rischia di suicidarsi politicamente nel suo feudo più strategico. Con uno scenario clamoroso: il centrodestra che corre diviso in Veneto. E la Regione simbolo dell’efficienza, della “buona amministrazione” di marca leghista, che diventa teatro della più aspra guerra fratricida. Ma è credibile?


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