Attualità

Regionali, sei sfide per l’Italia. Veneto epicentro della contesa

di Ivano Tolettini -


Il Veneto è la chiave, ma non l’unico fronte. Con il decreto firmato ieri da Luca Zaia che fissa il voto al 23 e 24 novembre, si cristallizza ufficialmente la stagione delle Regionali d’autunno, una sequenza che attraverserà l’Italia da Nord a Sud nell’arco di due mesi che si annunciano caldi per oltre 19 milioni di italiani. Sei test politici che peseranno sugli equilibri nazionali: il centrodestra punta a blindare Veneto, Calabria e Marche, il centrosinistra si affida a Toscana, Puglia e Campania, convinto che le sue roccaforti reggano. Si parte il 27 e 28 settembre con le Marche e la Valle d’Aosta (consultazione locale), poi il 5 e 6 ottobre la Calabria e il 12 e 13 ottobre la Toscana. Gran finale il 23 e 24 novembre con l’election day in Veneto, Campania e Puglia. Una lunga cavalcata che accompagnerà il governo Meloni fino all’inverno, con un bilancio che andrà oltre i singoli risultati. Il Veneto rappresenta la posta più alta. Dopo quindici anni di dominio leghista incontrastato, il panorama è cambiato: Fratelli d’Italia, dal 2022, ha messo la freccia. Alle Europee ha totalizzato il 37,57%, alle politiche ha superato il 32%. È la Regione dove il partito di Giorgia Meloni registra il consenso più alto.

IL NODO LEGA

Il nodo politico è semplice: davvero FdI, locomotiva nazionale e primo partito in Veneto, lascerà la guida della Regione alla Lega dopo che Zaia non potrà più ricandidarsi? Per il Carroccio, il Veneto resta la culla identitaria, la terra dell’autonomia differenziata, la bandiera che Roberto Calderoli ha portato in Parlamento e che Zaia ha fatto crescere con i referendum del 2017. Ma la spinta non è più quella di un tempo. Salvini lo sa e a Pontida, domenica, la Lega sventolerà la candidatura di Alberto Stefani, il giovane vicesegretario nazionale, come prova di forza. Una mossa che rischia di trasformarsi in un boomerang se Meloni non darà il via libera. La via d’uscita dall’impasse potrebbe essere un candidato civico, un profilo istituzionale non direttamente riconducibile né alla Lega né a FdI. Una figura capace di garantire continuità e allo stesso tempo neutralizzare il conflitto interno alla coalizione. Ma anche qui il rischio è evidente: un civico troppo legato alla Lega non sarebbe accettato da Fratelli d’Italia, uno troppo vicino a Meloni farebbe esplodere il Carroccio.

Le altre sfide

Nel frattempo, le altre regioni vanno al voto con equilibri meno intricati. In Calabria il centrodestra parte favorito, forte dell’unità interna e della debolezza del centrosinistra. Nelle Marche, FdI governa già con Francesco Acquaroli e punta a confermare la presa sulla regione adriatica. Sul fronte opposto, il centrosinistra difende Toscana, Campania e Puglia: tre piazze cruciali. La Toscana resta il simbolo della tradizione progressista, la Puglia prepara la successione a Emiliano con Decaro, la Campania deve fare i conti con l’uscita di scena di Vincenzo De Luca, impossibilitato a ricandidarsi ma capace di orientare equilibri e candidature. Un 3-3 tra centrodestra e centrosinistra – Veneto, Calabria e Marche da una parte, Toscana, Campania e Puglia dall’altra – sarebbe il risultato più probabile e il più gestibile. Ma un ribaltone, come la conquista di una regione “rossa” da parte del centrodestra o la perdita del Veneto da parte della Lega, cambierebbe radicalmente la percezione dei rapporti di forza. Luca Zaia, firmando il decreto, è ai titoli di coda: ha augurato una campagna civile. La realtà sarà più dura. In Veneto si decide chi guiderà la coalizione nei prossimi anni, in Italia si misurerà la tenuta dei due poli. Le urne tra settembre e novembre non assegneranno solo sei governi regionali: scriveranno il prossimo capitolo della politica nazionale.


Torna alle notizie in home