Esteri

Repressione e resistenza Ora in Iran è guerra civile

di Martina Melli -


L’Iran è un Paese ricco di arte e di storia che, a lungo, è stato anche culturalmente emancipato e all’avanguardia.
Adesso, tristemente, nell’ambito di una delle più grandi crisi politiche ed identitarie mai registrate a livello nazionale, si trova a fare la conta dei morti, dei soprusi e dei diritti umani violati.
Dal 16 settembre di quest’anno infatti, il popolo è occupato a manifestare il proprio malcontento e la propria avversione alle dure regole del regime islamico, che divide, opprime, uccide e impera.
Tutto è iniziato con la morte di Mahsa Amini, una giovane curda che, a causa della propria hijab, è stata arrestata dalla Polizia Morale perdendo misteriosamente la vita in circostanze mai chiarificate.
Da quel giorno, hanno avuto luogo più di 1.200 manifestazioni di protesta; una protesta che non si è mai fermata, nemmeno a fronte di una repressione istituzionale durissima e sanguinaria.
Secondo l’ultimo aggiornamento dell’agenzia di stampa iraniana per i diritti umani Hrana, al 7 dicembre le persone uccise durante i disordini erano 508, di cui 69 bambini. Il numero di coloro che sono stati arrestati dalle forze di sicurezza supera i 18.000, e le città coinvolte sono 161.
Tra le ultime vittime ricordiamo Soha Etebari, la piccola di soli dodici anni colpita da colpi di arma da fuoco mentre era all’interno dell’auto della sua famiglia.
Sono i pasdaran, Il corpo delle guardie della rivoluzione islamica, ad aver avuto il mandato dagli ayatollah di reprimere tutte le manifestazioni, anche quelle pacifiche. Dalle prime sommosse infiammate dalla problematica di genere e dalla gravissima condizione femminile, da mesi ormai, studenti, lavoratori, uomini e donne, tutti invocano un cambiamento drastico nella società, riforme economiche e strutturali.
Le Guardie della rivoluzione e i capi religiosi sono particolarmente convinti che a fomentare le masse, ci sia il nemico occidentale: “Sappiamo chi siete e vi daremo una dura risposta, uno per uno”, ha avvertito il portavoce delle Guardie Ramezan Sharif, rivolgendosi ai media iraniani dissidenti all’estero. “Tali media dissidenti, come Bbc persian, Iran international, Voa e Manoto e i social media, che sono elementi dei nemici, hanno cercato di influenzare le menti del popolo iraniano durante le attuali proteste contro il sistema”, ha sottolineato Sharif.
Grazie al prezioso lavoro di questi media antiregime, nell’ultimo mese sono arrivate fino a noi notizie tanto disturbanti quanto fondamentali per capire l’entità della repressione sociale in atto: intimidazioni e violazioni della privacy, esecuzioni capitali dei manifestanti, spari sulla folla disarmata, violenze e stupri.
Nella primissima fase della protesta c’era stata grande partecipazione internazionale e moltissimi messaggi di solidarietà e vicinanza.
Adesso che il Governo iraniano risponde più duramente che mai, dai Paesi europei ed extraeuropei – sarà che siamo oltre i 100 giorni di disordine – arrivano solo belle dichiarazioni politiche e poco più.
Dopo il Presidente Mattarella, che alla Conferenza degli ambasciatori italiani aveva dichiarato come in Iran sia stata “Calpestata la dignità umana e superato ogni limite”, anche la premier Giorgia Meloni, ha dedicato proprio ieri alcune parole alla gravosa situazione in Medio Oriente: “Ho concordato la convocazione dell’ambasciatore, per dire che quel che accade in Iran è inaccettabile, l’Italia non intende accettarlo oltre. Noi siamo stati sempre un Paese dialogante ma se le repressioni non dovessero cessare, l’atteggiamento dell’Italia dovrà cambiare completamente, passando da un’interlocuzione a livello di alleati per capire come rendere più incisiva la nostra azione”.
Forse si potrebbe pensare qualcosa di diverso, istituire un tavolo, discuterne, trovare modi più incisivi di offrire aiuto e protezione ai civili.


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