Esteri

Repressione in Iran Impiccato un 23enne che manifestava. Ma cresce la protesta

di Martina Melli -


In Iran la situazione si fa sempre più allarmante.
E’ giunta ieri la conferma della prima esecuzione capitale di un manifestante, il ventitreenne Mohsen Shekari, colpevole del reato di “moharebeh” ossia “guerra contro Dio”.
Il giovane avrebbe infatti bloccato una strada “con l’intento di seminare terrore e uccidere” e sembrerebbe aver ferito con un’arma da taglio un membro della forza paramilitare dei Basij, mentre era in servizio.
Dal 16 settembre scorso – giorno in cui è stata arrestata Mahsa Amini – la protesta si è allargata a tutte le fasce della popolazione, e dalla semplice ribellione femminile è diventata una vera e propria guerra civile per chiedere la caduta della Repubblica islamica.
Quasi tre mesi di sommosse, manifestazioni in piazza, scioperi; scontri e incarcerazioni, violenze, e adesso anche condanne a morte.
Qualche giorno fa era arrivata la notizia dell’abolizione della polizia morale ( la stessa che ha fermato Mahsa a causa di una hijab indossata in modo scorretto) ma non è mai stata confermata.
Il governo sembra iniziare a prendere atto della situazione e a fare i conti con possibili concessioni, ma al momento non sembra esserci nulla di certo.
Nel frattempo, si fa la conta delle vittime dall’inizio delle proteste (circa 400) e iniziano ad arrivare informazioni più dettagliate sulla natura della repressione messa in atto dalle istituzioni.
Secondo una recente inchiesta del Guardian infatti, che ha raccolto le testimonianze di 10 medici iraniani in varie parti del Paese, le forze di sicurezza sparano sulla folla con dei fucili da caccia (muniti di palline di plastica o metallo) e colpiscono donne e uomini in parti diverse del corpo.
Le donne (spesso giovanissime) arrivano negli ospedali con ferite al viso, al seno e ai genitali, mentre gli uomini principalmente alle gambe, al sedere e alla schiena. Sembra proprio una targetizzazione “di genere”, pensata per punire le donne e danneggiarle nella loro bellezza e nei loro organi riproduttivi.
Le forze speciali che stanno fronteggiando le proteste dunque, non stanno affatto rispettando le norme per il controllo dei disordini, ossia puntare ai piedi e alle gambe e in generale non danneggiare gli organi vitali.
Non solo, un altro dato spaventoso che emerge, è la volontà di colpire gli occhi.
Sono talmente tanti i giovani che hanno perso la vista o riportato danni serissimi agli occhi a causa dei fucili a pallettoni, che più di 400 oftalmologi iraniani hanno firmato una lettera rivolta a Mahmoud Jabbarvand, segretario generale della Società iraniana di oftalmologia, per avvertirlo di quello che sembra essere un deliberato accecamento dei manifestanti.
Tra coloro che hanno firmato la lettera, c’è un medico oftalmologo che ha dichiarato: “Ho sentito molti casi simili dai miei colleghi e i casi di danni agli occhi nelle recenti proteste sono molti di più di quanto pensiamo, sono oltre i 1.000 casi”, e ha poi aggiunto che non hanno ancora ricevuto risposta alla lettera.
Tutti i medici che hanno testimoniato, lo hanno fatto nell’anonimato più assoluto, così come molti infermieri e paramedici che dall’inizio delle proteste si stanno occupando dei feriti.
I dottori sono costretti a scappare, a curare le persone di nascosto e a operare a luce spenta per evitare ritorsioni e arresti.
Per non parlare dei molti manifestanti colpiti (e a volte anche solo normali cittadini al posto sbagliato nel momento sbagliato) che, per non rischiare di venire arrestati, non si recano in ospedale, non si curano nel modo adeguato e muoiono in casa.
Sapendo che molti giovani e meno giovani che protestano, una volta feriti, hanno bisogno di cure e pronto soccorso, le autorità hanno persino incrementato la sorveglianza presso gli ingressi degli ospedali.


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