Revenge porn, la Procura di Milano vuole il processo per La Russa jr e per il suo amico
La Procura della Repubblica di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per Leonardo Apache La Russa, figlio del presidente del Senato Ignazio, e per il suo amico deejay Tommaso Gilardoni, indagati per revenge porn. Lo scorso 8 aprile gli stessi pubblici ministeri avevano chiesto l’archiviazione per i due amici indagati per violenza sessuale nei confronti di una ventiduenne, la quale denunciò la presunta violenza avvenuta la notte tra il 18 e il 19 maggio di due anni fa. L’accusa di revenge porn, la diffusione di immagini senza il consenso della vittima, riguarda due distinti episodi della vicenda che coinvolse gli indagati e la loro accusatrice ed è aggravata per l’uso dello “strumento telematico”.
Il figlio del presidente del Senato il 19 maggio di due anni fa avrebbe filmato e inviato all’amico deejay, tramite il social Whatsapp, “un video a contenuto sessualmente esplicito, destinato a rimanere privato” che ritraeva la giovane senza il suo “consenso”, si legge nell’avviso di conclusione delle indagini della procuratrice aggiunta Letizia Mannella e della pm Rosaria Stagnaro nell’avviso di conclusione indagini.
A Gilardoni, 26 anni, viene invece contestato l’aver inoltrato – nell’agosto successivo – un video a un amico estraneo ai fatti. Il 26enne, “dopo averlo realizzato”, avrebbe inoltrato il contenuto sempre su Whatsapp. Immagini che erano “a contenuto sessualmente esplicito” diffuse, per la Procura, “senza il consenso della ragazza”.
Sulla richiesta di oggi da parte dei magistrati milanesi si dovrà ora pronunciare un Giudice dell’udienza preliminare, mentre è fissata per il 25 settembre davanti al Giudice per le indagini preliminari la richiesta di opposizione all’archiviazione chiesta dalla difesa della ventiduenne in merito al reato di violenza sessuale.
Una vicenda che non è ancora conclusa, per i diversi gradi del giudizio che la interessano e che, in questo preciso passaggio, ripropone alle cronache un fenomeno che è diventato nel nostro Paese un reato con l’entrata in vigore della legge denominata Codice Rosso il 9 agosto 2019, che ha introdotto l’articolo 612-ter nel Codice penale, criminalizzando la diffusione di immagini e video sessualmente espliciti senza il consenso della persona ritratta. La pena prevista va da 1 a 6 anni di reclusione, oltre a una multa da 5mila a 15mila euro.
Circa il 4% della popolazione italiana, circa 2 milioni di persone, è stata vittima di revenge porn e quasi il 9% degli italiani dichiara di conoscere almeno una vittima del fenomeno.
Il 75% degli italiani ha almeno una volta sentito parlare di revenge porn, ma il 17% è convinto che non costituisca reato, percentuale che sale al 35% tra le vittime, motivo per cui metà di esse tuttora non denuncia quanto le colpisce.
Il fenomeno interessa prevalentemente giovani con un’età media di circa 27 anni, di cui il 70% sono donne e il 30% uomini, il 13% delle vittime appartiene alla comunità LGBTQ+.
La pornografia non consensuale (che include il revenge porn) è molto diffusa anche tra gli adolescenti, con oltre la metà che invia foto intime e una percentuale significativa che le ha postate sui social, non preoccupandosi delle conseguenze penali in cui incorre o probabilmente non conoscendole o minimizzzandole.
Si stima che finora 14 milioni di account italiani abbiano visualizzato immagini o video intimi diffusi senza consenso.
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